I legislatori eurounitario e nazionale quali agenti per la rimozione della disparità retributiva di genere

GENDER PAY GAP – LA SITUAZIONE GENERALE

Oggi in Italia le donne guadagnano il 5% in meno degli uomini per ogni ora lavorata[1]. Considerando il solo settore privato, in relazione alle ore lavorate, il divario retributivo medio di genere (o gender pay gap) sale al 24%[2] e si amplia ulteriormente con l’aumentare delle competenze e delle specializzazioni: è pari al 33% tra i laureati contro il 10% dei non laureati[3].

Secondo le recenti statistiche Istat[4], la differenza di retribuzione oraria tra uomini e donne aumenta all’aumentare del livello retributivo: il valore del primo decile per le posizioni ricoperte dalle donne è inferiore di circa il 6% rispetto a quello degli uomini, e il divario sale al 12% per l’ultimo scaglione della scala: a parità di inquadramento contrattuale, le donne sono pagate meno dei colleghi uomini.

IL QUADRO EUROPEO

Il diritto alla parità retributiva di genere è uno tra i principi fondamentali del Trattato di Roma, sancito all’articolo 119[5] .L’art. 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede che l’Unione Europea adotti misure volte ad assicurare l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[6].

Molti sono stati, negli anni, gli interventi a livello europeo al fine di ribadire questo principio fondamentale e garantirne una corretta attuazione[7]. Tra gli interventi più rilevanti ricordiamo la Direttiva 2006/54/CE, nota anche come “Direttiva Rifusa”, recante la disciplina di attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego[8].

La “Direttiva Rifusa” del 2006 venne successivamente integrata nel 2014 dalla raccomandazione della Commissione sulla trasparenza retributiva. Quest’ultima raccomandazione mise a fuoco come eliminare il fenomeno dell’assenza di trasparenza delle condizioni di remunerazione sia l’unico modo per applicare efficacemente il principio della parità retributiva delle categorie salariali, individuando alcuni strumenti chiave per rendere effettiva la normativa in principio, ossia:

  • diritto dei lavoratori di accedere alle informazioni sui livelli salariali;
  • relazioni sulle retribuzioni;
  • audit salariali;
  • contrattazione collettiva;
  • statistiche e dati amministrativi;
  • concetto di lavoro di pari valore;
  • sistemi di valutazione e classificazione del lavoro.

Nonostante questo quadro giuridico, l’effettiva attuazione e applicazione dei principi individuati, nella pratica, continua a rappresentare una sfida per l’Unione Europea[9]: a livello europeo il gender pay gap continua ad attestarsi intorno al 14%, con importanti ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, esponendole a un maggiore rischio di povertà e ad una minore capacità di risparmio delle donne verso gli uomini, nonché alimentando il pension pay gap, che è pari al 33%[10].

Sulla spinta del Parlamento europeo e del Consiglio, che nel giugno 2019 ha chiesto alla Commissione di elaborare misure concrete per migliorare la trasparenza retributiva, sono stati elaborati i venti principi del pilastro europeo dei diritti sociali[11]. Uno dei pilastri identificati per favorire “un’Unione dell’uguaglianza, che sia equa, inclusiva e ricca di opportunità”, è proprio quello della parità di genere, oggetto della “Strategia per la parità di genere 2020-2025”[12].

 

LA PROPOSTA DI DIRETTIVA SUL RAFFORZAMENTO DEL PRINCIPIO DELLA PARITA’ RETRIBUTIVA TRA DONNE E UOMINI

È proprio nel più ampio contesto delle misure e iniziative europee volte ad affrontare e rimuovere  le cause profonde del divario retributivo di genere e a favorire l’emancipazione economica femminile che si inserisce la “Proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi” della Commissione Europea del 4 marzo 2021[13], attualmente sottoposta all’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo[14]. Tale proposta di direttiva è volta a rafforzare nelle società operanti nei paesi europei l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[15], nonché la trasparenza delle retribuzioni, già prima dell’assunzione[16] e nel corso del rapporto di lavoro[17]. La trasparenza retributiva, nelle sue varie declinazioni anche temporali, è funzionale all’individuazione da parte dei lavoratori di possibili discriminazioni basate sul genere.

La proposta di direttiva prevede l’introduzione da parte degli Stati membri di misure giudiziali e stragiudiziali facilmente accessibili ai lavoratori che si ritengano lesi dalla mancata applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, per ottenere il risarcimento del danno[18] e prevedendo l’onere della prova a carico del datore di lavoro convenuto in giudizio.

L’iniziativa, peraltro, rileva e si propone di affrontare anche un aspetto più sottile del gender pay gap, il cosiddetto divario retributivo di genere “inspiegabile”, ovvero disparità retributive discriminatorie basate sul genere che sono involontarie e inconsce e che il datore di lavoro può superare proprio attraverso lo strumento della trasparenza retributiva.

In conclusione la proposta di direttiva potrebbe rispondere alle criticità emerse stabilendo norme in materia di trasparenza retributiva per consentire alle lavoratrici di rivendicare i propri diritti grazie ad una maggiore trasparenza all’interno delle organizzazioni, agevolando la definizione e l’applicazione dei concetti chiave della parità retributiva, quali quelli di “retribuzione” e “lavoro di pari valore”, rafforzando contestualmente i meccanismi, anche di carattere giudiziale, di applicazione.

 

LEGISLAZIONE ITALIANA SUL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE

La prima fonte legislativa nazionale che prevede disposizioni antidiscriminatorie basate sul genere è la Costituzione italiana. L’articolo 3 della Costituzione afferma che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In virtù di questa disposizione generale nei rapporti di lavoro si applica il principio costituzionale dell’uguaglianza professionale tra i lavoratori, che vieta ai datori di lavoro di operare discriminazioni (dirette o indirette) nello svolgimento delle attività lavorative.

L’articolo 37 della Costituzione è volto a fornire specifiche garanzie: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […]”. Questa disposizione costituzionale ha reso possibile l’adozione di una legislazione volta ad affermare la piena uguaglianza formale tra lavoratori e lavoratrici.

In particolare, ai sensi del Decreto Legislativo 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) è vietata qualsiasi discriminazione di genere in materia di:

  • accesso al lavoro;
  • condizioni retributive;
  • livelli occupazionali, mansioni e avanzamento di carriera; e
  • trattamenti previdenziali complementari.

 

L’ATTUALE SITUAZIONE DEL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE NEI VARI SETTORI IN ITALIA[19]

  • Industria manifatturiera

Il divario retributivo di genere nel settore manifatturiero è del 13,2%.

Molte aziende del settore metalmeccanico hanno avviato progetti di inserimento di personale femminile nelle figure professionali previste dai nuovi modelli organizzativi, per aumentare la presenza femminile nelle posizioni tecniche.

Inoltre, il CCNL Industria Metalmeccanica 5.2.2021 prevede che nelle aziende con più di 1.000 dipendenti, di cui almeno 300 occupati nella stessa unità produttiva, può essere istituita, su richiesta di una delle parti, una “Commissione paritetica per le pari opportunità”, composta da non più di 3 membri rispettivamente in rappresentanza della direzione e della rappresentanza sindacale unitaria. Tale Commissione ha la facoltà di valutare le iniziative e le azioni per promuovere comportamenti coerenti con i principi di pari opportunità nei luoghi di lavoro; facilitare il reinserimento delle lavoratrici dopo il congedo di maternità; promuovere l’occupazione femminile in ruoli legati alle nuove tecnologie; prevenire forme di molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Esamina inoltre eventuali controversie sull’applicazione dei principi di parità. La Commissione aziendale si aggiunge alla Commissione nazionale e alle Commissioni territoriali la cui costituzione è prevista sempre dalla medesima disposizione del CCNL.

Si noti che, al momento, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro non contiene alcun riferimento specifico al gender pay gap.

  • Servizi finanziari[20]

Il divario retributivo di genere nel settore dei servizi finanziari è del 26,4%[21].

Molte aziende del settore creditizio hanno avviato progetti volti a favorire l’avanzamento delle donne nelle posizioni di vertice.

In questo settore possono essere istituite commissioni aziendali miste per l’esame e la valutazione congiunta del tema delle pari opportunità. Lo scopo principale di queste commissioni è quello di pianificare azioni positive con l’obiettivo di valorizzare le risorse femminili ed eliminare le differenze di trattamento.

  • Informazione e comunicazione

Il divario retributivo di genere nel settore dell’informazione e della comunicazione è del 14,8%.

In questo settore, il CCNL Telecomunicazioni 12.11.2020 ha previsto la costituzione di un Forum nazionale cui partecipano le segreterie nazionali delle OO.SS. e gli organi direttivi delle associazioni datoriali firmatarie del contratto. Tale Forum, che si tiene una volta all’anno, costituisce la sede di analisi, verifica, confronto e proposta tra le parti su una serie di temi, tra i quali figura anche la materia delle pari opportunità. Inoltre, in

relazione ai temi trattati dal Forum, vengono costituiti specifiche commissioni paritetiche di approfondimento, studio, ricerca e proposta, a livello di settore, sulle tematiche di competenza.

  • Energia

Il divario retributivo di genere nel settore dell’elettricità e del gas è dell’11%.

In questo settore, il divario di genere non è elevato, ma la presenza delle donne è inferiore a quella degli uomini (la presenza femminile è inferiore al 15%).

Purtroppo, va sottolineato che attualmente non esistono iniziative specifiche per compensare questo divario.

Il CCNL Energia e Petrolio 21.7.2022 prevede la costituzione, entro il mese di gennaio 2023, di un Osservatorio Nazionale di Settore che avrà il compito di svolgere attività di consulenza e supporto nell’elaborazione e attuazione di politiche per la parità di genere, nonché attività di ricerca e monitoraggio sulle condizioni della parità di genere all’interno delle aziende del settore, individuando e proponendo best practice, valorizzando la formazione, la conoscenza e la cultura delle pari opportunità, anche in materia di parità salariale. Inoltre, la disposizione contrattuale prevede che le aziende del settore si impegnano ad inviare all’Osservatorio il consuntivo delle attività legate a iniziative di promozione della cultura delle pari opportunità effettuate nell’anno precedente, elementi che consentiranno di monitorare e valutare l’andamento del settore in riferimento a tale tematica.

 

LA REMUNERAZIONE NEGLI ORGANI SOCIALI DELLE SOCIETÀ QUOTATE E NELLE SOCIETA’ DI MAGGIORI DIMENSIONI

Per le società quotate è prevista una normativa sull’equilibrio di genere, contenuta nella legge n. 160/2019 che ha stabilito la quota (da applicarsi ai sei rinnovi a partire dal 2020) nella misura dei due quinti dell’organo amministrativo, più elevata rispetto a quella di un terzo prevista dalla Legge Golfo-Mosca (Legge n. 120/2011, applicabile ai tre rinnovi successivi all’agosto 2012). A fine 2021, la maggior parte degli emittenti ha applicato la quota di genere dei due quinti: in particolare, si contano 131 società, nel cui organo amministrativo siedono in media 4 donne che rappresentano quasi il 44% del board[22].

Oltre alle norme a tutela della rappresentazione di entrambi i generi all’interno degli organi sociali delle società quotate, l’art. 123-ter del D.Lgs. 58/1998 prevede che le società quotate redigano una relazione sulla remunerazione, messa a disposizione del pubblico presso la sede sociale, sul sito internet o con le altre modalità previste dall’Autorità competente (CONSOB). Tale relazione deve illustrare la politica della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche con riferimento almeno all’esercizio successivo; deve inoltre contenere le procedure per l’adozione e l’attuazione di tali politiche.

Per quanto riguarda invece tutte le grandi imprese con più di cinquecento dipendenti e con un valore dell’attivo superiore a venti milioni di euro o con ricavi netti totali superiori a quaranta milioni di euro, il Decreto Legislativo n. 254/2016, emanato nell’ottica della sostenibilità d’impresa, ha imposto a tali imprese di predisporre un documento di politica non finanziaria. Tale documento deve indicare anche gli aspetti sociali e di gestione del personale, comprese le azioni intraprese per garantire la parità di genere.

Altre imprese di minori dimensioni possono redigere dichiarazioni volontarie di natura non finanziaria in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 254/2016.

A livello europeo preme segnalare che, il 23 novembre 2022, il Parlamento ha adottato in via definitiva, a dieci anni dalla presentazione della proposta, la direttiva sull’equilibrio di genere nelle società quotate (c.d. “Women on Boards”)[23].

Le misure contenute nella direttiva saranno applicabili a tutte le grandi società quotate nell’Unione europea, ma non alle piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti e comporteranno, entro la fine di giugno 2026, l’adozione di misure per incrementare la presenza delle donne nelle posizioni apicali.

L’obiettivo è che, entro tale data, il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi o il 33% di tutti i posti di amministratore vengano occupati dal sesso sottorappresentato.

Le nomine dovranno essere effettuate sulla base di criteri chiari e neutrali e, nel caso di candidati con pari qualifiche, dovrà preferirsi il candidato appartenente al genere sottorappresentato.

Non sono previste disposizioni a tutela della parità retributiva di genere in seno agli organi sociali, acuita dal fatto che le consigliere rivestono raramente il ruolo di amministratore delegato, al quale di norma corrisponde una remunerazione più elevata.

 

LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE E LA NUOVA LEGGE SULLA PARITÀ REMUNERATIVA

In pieno accordo con le raccomandazioni europee e con lo straordinario contesto emergenziale dovuto alla pandemia, il Governo italiano ha deciso di redigere un documento programmatico denominato “Strategia Nazionale per il raggiungimento della parità di genere”, pubblicata nel luglio 2021. La Strategia agisce in un orizzonte temporale a cinque anni ed intende produrre cambiamenti di natura strutturale e duratura.

A tal fine sono stati identificati alcuni ambiti chiave di intervento e, tra questi, il reddito è una priorità strategica.

Vi sono iniziative volte a:

  • definire a norma di legge la disparità salariale ed identificare una soglia limite di tolleranza, individuando così chiaramente i parametri per la sanzione conseguente all’eventuale superamento;
  • individuare i parametri, articolati secondo le variabili che possono incidere sulla retribuzione dei lavoratori (quali posizione, qualifica ed anzianità), al fine di adottare un sistema di misurazione di sintesi dell’equal pay per il settore privato;
  • definire le linee guida per l’adozione di una Policy di Genere per il settore privato ed introdurre normative ad hoc che considerino il diritto di richiedere trasparenza salariale per genere dei lavoratori ed il divieto per i (potenziali) datori di lavoro di chiedere, in fase di colloquio, informazioni sulle retribuzioni precedentemente percepite dal candidato onde evitare il perpetrarsi di schemi discriminatori[24];
  • supportare i genitori lavoratori, incrementando l’indennità dei congedi parentali, attualmente pari al 30% della retribuzione ordinaria per un periodo di 6 mesi oltre ad aumentare i giorni di congedo parentale per i padri, con l’obiettivo di superare lo stereotipo della cura della prole come responsabilità esclusivamente materna;
  • ridurre il pension gap dovuto alla maternità considerando i periodi di congedo come utili ai fini contributivi.

Coerentemente, a pochi mesi di distanza dalla pubblicazione della Strategia, è stata approvata la legge numero 162 del 5 novembre 2021, che modifica alcune disposizioni del Codice delle pari opportunità adottato nel 2006 e altre disposizioni sul divario di genere in ambito lavorativo.

Il testo si propone di contrastare il divario retributivo di genere sia attraverso misure premiali per le aziende che rimuovono le discriminazioni, sia attraverso l’adozione di una serie di misure per facilitare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (ad esempio, aumentando l’indennità per i congedi parentali, le ferie solidali o la creazione di asili nido aziendali) sancendo, all’articolo 28, il principio per cui “è  vietata  qualsiasi  discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto  riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale”.

La legge in esame agisce su due direttrici: in primo luogo vengono definite ed aggiornate a livello normativo alcune definizioni chiave, ampliando le fattispecie della discriminazione diretta ed indiretta anche a tutela dei candidati in fase di selezione del personale e riportando nell’alveo della discriminazione indiretta, per la quale si intende quella serie di comportamenti apparentemente neutri che possono però costituire una difficoltà per le donne, “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione  delle  condizioni  e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età  anagrafica, delle  esigenze  di  cura  personale  o  familiare,  dello  stato  di gravidanza nonché’ di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei  relativi  diritti, pone o  può  porre  il  lavoratore  in  almeno  una  delle  seguenti condizioni:

  • Posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  • Limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  • Limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.

Contestualmente sono istituiti sistemi di controllo interni ed esterni, con relativi meccanismi premiali e sanzionatori, come di seguito indicati:

  • è stabilito l’obbligo della consigliera o del consigliere nazionale di parità di presentare al Parlamento, ogni due anni, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del decreto (art. 1, L. 165/2021 che modifica l’art. 20 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.lgs. 198/2006);
  • viene esteso alle aziende con più di 50 dipendenti il regime già previsto ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. 198/2006 per le aziende pubbliche e private con più di 100 dipendenti, che prevede la redazione di un rapporto almeno biennale sulla situazione del personale maschile e femminile sulla base di vari parametri definiti. Tale relazione deve indicare la situazione dei dipendenti maschi e femmine in ciascuna delle professioni e in relazione alle assunzioni, alla formazione, alla promozione professionale, ai livelli, ai passaggi di categoria o di qualifica, ad altri fenomeni di mobilità, ai licenziamenti, ai prepensionamenti e ai pensionamenti, alle retribuzioni effettivamente erogate.

La relazione deve essere trasmessa alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera o al consigliere di parità regionale, che ne elabora i risultati e li trasmette alla consigliera o consigliere di parità nazionale, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tale obbligo è scortato anche da un relativo apparato sanzionatorio che consiste, in caso di mancata redazione del rapporto, nella sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda e, in caso di rapporto incompleto o mendace, nell’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro;

  • viene istituito un sistema nazionale di “certificazione di parità”, che si inserisce nel contesto degli obiettivi del PNRR, nello specifico nella Missione 5 “Inclusione e coesione”, Componente 1, Investimento 1.3 (M5C1- 1.3)[25] “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per  ridurre  il  divario  di genere in relazione alle opportunità di crescita  in  azienda,  alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche  di  gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”, prevedendo incentivi quali sgravi contributivi fino all’1% dei contributi complessivamente dovuti e di € 50.000 annui per ciascuna azienda, ovvero di un migliore posizionamento in graduatoria nelle procedure ad evidenza pubblica per le aziende che ottengono tale certificazione[26];
  • in conclusione è previsto che, al fine di garantire l’equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche non quotate, il genere meno rappresentato debba costituire almeno due quinti degli amministratori eletti.

È indubbio che le innovazioni normative introdotte sia a livello eurounitario sia a livello nazionale siano necessari agenti di cambiamento verso una società più equa e che rappresentino strumenti preziosi di contrasto alla discriminazione retributiva di genere in ambito lavorativo ed un punto di svolta verso una effettiva ed equa parità di genere.

 

[1] “Strategia Nazionale per la Parità di genere” pubblicata nel luglio 2021. I dati provvisori di Eurostat per il 2022 affermano che tale divario si è ridotto al 4,2%. Per maggiori informazioni: Statistics | Eurostat (europa.eu)
[2] “Strategia Nazionale per la Parità di genere” pubblicata nel luglio 2021.
[3] “Strategia Nazionale per la Parità di genere” pubblicata nel luglio 2021.
[4] Rapporto del 2021, basato sui dati del 2018, disponibile all’indirizzo:https://www.istat.it/it/files//2021/03/REPORT_STRUTTURA_RETRIBUZIONI_2018.pdf
[5] L’art. 119 del Trattato di Roma stabilisce che “ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro”.
[6] L’art. 157, paragrafo 3, del TFUE costituisce la base giuridica della Direttiva Rifusa e della Raccomandazione del 2014, nonché della bozza di direttiva del 4 marzo 2021, qui in commento.
[7] Ricordiamo, inoltre, la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, “Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini”, del 18 luglio 2007 e le due risoluzioni sulla parità di retribuzione tra donne e uomini adottate dal Parlamento europeo il 18 novembre 2008 e il 24 maggio 2012, che formulano raccomandazioni per una migliore applicazione del principio della parità retributiva, quale l’introduzione di misure per la trasparenza salariale e di sistemi di valutazione e classificazione del lavoro neutri sotto il profilo del genere.
[8] La direttiva è denominata “Rifusa”  perché ha consolidato le direttive esistenti in materia di parità di genere nel settore  dell’occupazione, integrando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la direttiva 75/117/CEE sulla parità di retribuzione, la direttiva  86/378/CEE (modificata dalla direttiva 96/97/CE) relativa alla parità di trattamento nei regimi professionali  di sicurezza sociale, la direttiva 76/207/CEE (modificata dalla direttiva 2002/73/CE) relativa alla parità di  trattamento tra uomini e donne e la direttiva 97/80/CE (modificata dalla direttiva 98/52/CE) riguardante  l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.
[9] Cfr. rispettivamente la valutazione e la relazione sull’applicazione della Commissione SWD(2020) 50 e COM(2013) 861 final
[10] Closing the gender pension gap? – Products Eurostat News – Eurostat (europa.eu)
[11] Il pilastro dei diritti sociali mira a garantire nuovi e più efficaci diritti per i cittadini, sulla base di 20 principi fondamentali. Per maggiori informazioni: I 20 principi del pilastro europeo dei diritti sociali | Commissione europea (europa.eu)
[12] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0152&from=IT
[13] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021PC0093
[14] L’iter di approvazione della proposta di direttiva è, al momento della redazione del presente articolo, in stallo, in attesa della nuova versione del testo da parte della Commissione a seguito dei 171 emendamenti al testo trasmesso dalla Commissione proposti dal Parlamento in prima lettura. Tra gli ultimi interventi, il 5 aprile 2022 a seguito della presentazione della relazione sulla proposta di direttiva da parte delle MEP Samira Rafaela e Kira Marie Peter-Hansen, è stata approvata la decisione, con 403 favorevoli, 166 contrari e 58 astensioni, di avviare negoziati interistituzionali. Successivamente il 15 dicembre 2022 è stato comunicato il raggiungimento di un accordo tra Parlamento Europeo e Stati Membri sulla proposta di direttiva, che rimane ad oggi ancora soggetta ad approvazione formale.
[15] Ai sensi della bozza della direttiva europea del 4 marzo 2021 sulla parità di remunerazione tra i generi, gli Stati membri sono tenuti ad adottare strumenti e metodologie che consentano di valutare se, in relazione al valore del lavoro, i lavoratori si trovano in una situazione analoga, che includono i requisiti professionali e di istruzione, la formazione, le competenze, l’impegno, la responsabilità
[16] Ai sensi della bozza della direttiva europea del 4 marzo 2021 sulla parità di remunerazione tra i generi, i candidati ad un posto di lavoro hanno il diritto di ricevere informazioni dal potenziale datore di lavoro sul livello retributivo iniziale e tali informazioni sono indicate nell’avviso di posto vacante pubblicato o fornite ai candidati prima del colloquio di lavoro, senza che gli stessi debbano richiederle. Il datore di lavoro non può chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite nei precedenti rapporti di lavoro, né oralmente né per iscritto.
[17] Ai sensi della bozza della direttiva europea del 4 marzo 2021 sulla parità di remunerazione tra i generi, il datore di lavoro rende facilmente accessibile ai propri lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per determinare i livelli retributivi e l’avanzamento di carriera dei lavoratori, che, ovviamente, dovranno essere neutri rispetto al genere.
[18] Secondo la bozza di direttiva, il risarcimento del danno comprende il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus, il risarcimento da perdita di chance e i danni morali. È  fatto divieto di fissare a priori un massimale.
[19] Secondo le statistiche Eurostat, riferite all’anno 2020, Tabella 2, ove non diversamente specificato nel testo disponibile all’indirizzo: Gender_pay_gap_statistics,_03-Mar-2022.xlsx (live.com))
[20] A livello europeo si segnala che l’European Banking Authority (EBA) ha pubblicato nel luglio 2021 le Linee guida sulle corrette politiche di remunerazione in ambito finanziario stabilendo che i relativi operatori debbano attenersi al principio della neutralità di genere sotto il profilo della retribuzione. Le Linee guida trovano applicazione dal 1° gennaio 2022.
[21] “Strategia Nazionale per la Parità di genere” pubblicata nel luglio 2021
[22] Rapporto sulla Corporate Governance 2021 redatto da Consob.
[23] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2022-0393_IT.html
[24] Tale previsione è contenuta anche nella bozza di Direttiva 4 marzo 2021.
[25]Accessibile presso: https://italiadomani.gov.it/it/Interventi/investimenti/sistema-di-certificazione-della-parita-di-genere.html)
[26] Il 20 ottobre 2022 è stato adottato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con i Ministri per le Pari Opportunità e la Famiglia e dell’Economia e delle Finanze, il decreto che fissa i criteri e le modalità di concessione dell’esonero contributivo in favore delle aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere e gli ulteriori interventi finalizzati alla promozione della parità salariale di genere e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro da realizzare, a decorrere dal 2022, mediante il Fondo per il sostegno della parità salariale di genere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il decreto è disponibile al seguente link: https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2022/DI-del-20102022-Esonero-contributivo-aziende-private-parita-salariale-genere.pdf

 

Legge di Bilancio 2023: nuove disposizioni per fronteggiare l’aumento dei prezzi nei contratti pubblici

La Legge di Bilancio n. 197/2022 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 303 del 29 dicembre 2022, ha introdotto importanti novità in materia di contratti pubblici che mirano, principalmente, a fronteggiare gli aumenti eccezionali dei prezzi per il 2023.

Di seguito illustriamo brevemente le disposizioni rilevanti.

Fondo per l’avvio di opere indifferibili di cui all’art. 26, comma 7, del D.L. n. 50/2022

Le procedure di affidamento di opere pubbliche avviate dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, potranno beneficiare dell’incremento del Fondo pari a 10 miliardi di euro, così ripartiti:

  • 500 milioni di euro per il 2023;
  • 1.000 milioni di euro per il 2024;
  • 2.000 milioni di euro per l’anno 2025;
  • 3.000 milioni di euro per l’anno 2026;
  • 3.500 milioni di euro per l’anno 2027.

Le modalità di accesso al Fondo e l’erogazione delle relative risorse, saranno descritte in un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di Bilancio. Il decreto dovrà prevedere:

  1. a) le modalità e il termine semestrale di presentazione delle domande di accesso al Fondo da parte delle stazioni appaltanti e delle istanze di assegnazione delle risorse;
  2. b) i contenuti delle domande e delle istanze;
  3. c) le informazioni del quadro economico di ciascun intervento da fornire ai fini dell’accesso al Fondo sulla base del livello progettuale definito al momento della presentazione della domanda;
  4. d) le procedure di verifica delle domande da parte delle amministrazioni statali finanziatrici;
  5. e) la procedura di determinazione delle graduatorie semestrali e di assegnazione delle risorse del Fondo;
  6. f) le modalità di trasferimento delle risorse;
  7. g) le modalità di utilizzo delle eventuali economie derivanti da ribassi di asta e di recupero delle risorse eventualmente divenute eccedenti a seguito di una variazione in diminuzione del livello dei prezzi.

L’aggiornamento dei prezzari regionali

L’art. 1, comma 371, della Legge di Bilancio, dispone poi che i prezzari regionali siano in linea con l’aggiornamento infrannuale previsto dall’articolo 26, comma 2, del Decreto Aiuti. In caso di mancato aggiornamento da parte delle Regioni entro il 31 marzo 2023, i prezzari verranno modificati dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Il comma 372, inoltre, specifica che i prezzari regionali aggiornati si applicano alle procedure di affidamento per opere pubbliche e interventi per le quali intervengano (i) la pubblicazione dei bandi o dell’avviso di indizione, ovvero (ii) l’invio delle lettere di invito a partecipare alle procedure di affidamento avviate, rispettivamente, dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023 e dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023.

La Legge di Bilancio è in linea con la già dimostrata volontà del Legislatore di far fronte all’attuale congiuntura economica attraverso interventi normativi a sostegno sia delle stazioni appaltanti, sia degli operatori economici, che si trovano ad affrontare l’aumento esponenziale dei prezzi e, in particolare, dei costi di costruzione.

Il Legislatore è infatti già intervenuto sul tema attraverso la recente riforma del Codice dei Contratti Pubblici, che ha modificato la precedente disciplina, prevedendo l’obbligo di inserire clausole di revisione dei prezzi nei contratti pubblici “al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione”.

 

Avviata da ARERA la consultazione sulla riforma del dispacciamento e da Bruxelles si attende la riforma sul mercato elettrico

Il mercato dell’energia sta vivendo un periodo di grande evoluzione e riforme sia a livello nazionale, sia europeo.

A livello nazionale, il 13 dicembre 2022, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (“ARERA”), ha pubblicato sul proprio sito web bozza del Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico (“TIDE”), affinchè  i soggetti interessati possano avanzare proposte di modifica o pareri.

Il termine di consultazione scadrà il 13 marzo 2023, dopodiché l’Autorità adotterà e pubblicherà il TIDE in via definitiva.

Prima di individuare gli aspetti più significativi del TIDE, appare opportuno specificare il contesto nel quale tale documento si inserisce: esso fa seguito ad un precedente documento posto in consultazione, di cui alla delibera n. 322/2019/R/eel, con il quale ARERA aveva delineato gli interventi volti a rendere l’attività di dispacciamento idonea a garantire la sicurezza del sistema elettrico.

Dalla consultazione è emersa

(a) l’esigenza di una riforma organica della disciplina sul dispacciamento, che, in coerenza con gli attuali obiettivi europei di decarbonizzazione, includa tra altro l’integrazione nel sistema elettrico delle fonti rinnovabili.

(b) la necessità di avere un quadro più chiaro ed esaustivo (i) sulla separazione tra programmazione fisica delle unità e commercializzazione all’ingrosso dell’energia, (ii) sulle interrelazioni tra la fase di programmazione ex-ante del Mercato per il Servizio di Dispacciamento (“MSD”) e il Mercato Infragiornaliero (“MI”) che operano in parallelo, (iii) sui ruoli e sulla relazione fra i soggetti dedicati alla compravendita di energia e i soggetti dedicati alla fornitura dei servizi ancillari.

Alla luce dell’esito di tale precedente consultazione, ARERA ha quindi elaborato la bozza del TIDE posta ad ulteriore consultazione in data 13 dicembre 2022.

Obiettivo della nuova bozza di TIDE è quello di garantire la sicurezza del sistema elettrico, in modo efficiente e al minor costo possibile, alla luce della crescente diffusione delle fonti rinnovabili non programmabili e della generazione distribuita, nonché della progressiva riduzione dell’utilizzo degli impianti programmabili; tendenza che, alla luce altresì degli obiettivi di decarbonizzazione condivisi a livello europeo, risulta sempre più in crescita e sta velocemente modificando la natura e le caratteristiche fisiche delle risorse che possono erogare i servizi ancillari necessari a garantire l’esercizio in sicurezza del sistema, rendendo necessario rimuovere eventuali barriere che ne impediscano l’utilizzo.

Il TIDE si prefigge dunque lo scopo di razionalizzare il quadro regolatorio generale del dispacciamento in modo da raggruppare in un unico corpus normativo tutte quelle disposizioni disorganiche che sono state adottate negli ultimi anni con il mutare del quadro regolatorio europeo (tra cui le Linee Guida introdotte dal Regolamento n. 943 del 5 giugno 2019), che prevede mercati nazionali sempre più aperti ed integrati sia a livello di scambi di energia sia a livello di scambi di risorse di bilanciamento.

A livello europeo, invece, è recente la notizia secondo cui la Commissione Europea, nell’attesa della riforma del market design elettrico, con la quale verranno profondamente riviste le regole di funzionamento dei mercati elettrici, metterà in consultazione un non – paper, le cui proposte più significative sono, tra altre:

  • gli impianti incentivati dovrebbero affidarsi a Contract for Difference (“CfD”), da assegnarsi tramite aste, e gli impianti non incentivati a Power Purchase Agreement (“PPA”) quali accordi di fornitura di energia elettrica a lungo termine. Ciò è funzionale a portare il prezzo dell’elettricità prodotta dalle tecnologie inframarginali al loro costo reale;
  • sia valutata la possibilità di armonizzare e rendere permanente la limitazione ai profitti degli inframarginali introdotta con il regolamento del Consiglio n. 1854 del 6 ottobre 2022 (con cui si attuava un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia);
  • siano rese competitive le soluzioni di flessibilità come il demand response e lo storage;
  • siano previste diverse disposizioni a tutela dei consumatori per migliorare le attuali disposizioni di emergenza sui prezzi regolamentati. Ciò potrebbe garantire che durante l’emergenza alcuni consumatori abbiano accesso a un livello minimo di energia elettrica a un prezzo ragionevole, indipendentemente dall’andamento del mercato dell’energia elettrica.

La Commissione procederà quindi all’elaborazione del testo definitivo della proposta di riforma del market design, alla luce delle risposte che verranno presentate a seguito della Consultazione sul non – paper.

Non è stata definita una data certa per l’emanazione della riforma, ma indicativamente si presume che essa sia pubblicata nella primavera del 2023, secondo quanto si apprende dal non-paper pubblicato dalla Commissione Europea.

Sblocca trivelle: il Consiglio dei Ministri approva il DL “Aiuti Quater” e dà il via libera alle concessioni di coltivazione di gas (con elevato potenziale minerario) entro le 12 miglia marine

Per fronteggiare la crisi energetica, il Decreto-legge “Aiuti quater” (D.L. n. 176/2022), pubblicato in Gazzetta Ufficiale venerdì scorso ed entrato in vigore sabato 19 novembre, introduce una disposizione (denominata “Sblocca-Trivelle”) che limita l’attuale divieto di coltivazione di giacimenti a gas in mare, già oggetto di più interventi normativi negli ultimi anni.

La nuova disposizione, contenuta nell’art. 4 del Decreto-legge (“Misure per l’incremento della produzione di gas naturale”), stabilisce che:

  • è consentito il rilascio di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi gassosi fra le 9 e le 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, limitatamente ai siti aventi un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a 500 milioni di metri cubi;
  • gli operatori che acquisiscono la titolarità di queste concessioni sono tenuti ad aderire alle procedure competitive del GSE per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale;
  • le medesime procedure si applicano alle concessioni di coltivazione poste nel tratto di mare compreso tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po, a una distanza dalle linee di costa superiore a 9 miglia e aventi un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore a una soglia di 500 milioni di metri cubi;
  • la coltivazione di cui sopra è consentita per la durata di vita utile del giacimento, a condizione che i titolari delle concessioni aderiscano alle procedure del GSE e previa presentazione di analisi tecnico-scientifiche e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica dell’assenza di effetti significativi di subsidenza sulle linee di costa assegnati al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Le deroghe valgono, quindi, solo per le concessioni di coltivazione di gas (non anche per i titoli aventi ad oggetto idrocarburi liquidi) e, in particolare, per i siti caratterizzati da un elevato potenziale minerario (il giacimento con capacità superiore a 500 milioni di metri cubi).

Secondo le stime di Palazzo Chigi, si renderanno disponibili fino a 15 miliardi di metri cubi di gas aggiuntivi in dieci anni, da destinare alle aziende energivore del nostro Paese. Il prezzo calmierato rientrerà in una forchetta compresa tra i 50 e i 100 euro per megawattora, un valore assai più basso rispetto ai circa 153 euro dell’attuale parametro di riferimento per il mercato italiano.

Il Decreto “Aiuti quater” potrà subire eventuali modifiche in sede di conversione in legge, che dovrà avvenire entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, dunque entro il 18 gennaio 2023.

Il PNRR: un’opportunità per le pari opportunità

Il PNRR: un’opportunità per le pari opportunità

1) La parità di genere in Italia in numeri

L’Italia è oggi al 63° posto al mondo e al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender Equality Index [1] inferiore alla media europea che vede in testa alla classifica Islanda, Finlandia e Norvegia. Nonostante ciò, è riscontrabile un incremento degli indicatori sulla pari opportunità di oltre 10 punti in 7 anni[2].

2) A che punto siamo in tema di parità di genere in Italia

Dai dati riportati nella Strategia Nazionale per la Parità di Genere[3] – elaborata nel luglio 2021 in coerenza con la Strategia del 2020-2025 adottata in tema dalla Commissione Europea – si evince la situazione nazionale sull’uguaglianza uomo-donna sotto molteplici dimensioni, quali il lavoro, il reddito, le competenze, il tempo e il potere.

In termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro l’Italia si posiziona all’ultimo posto in Europa, con una differenza di oltre 20 punti percentuali tra il tasso di occupazione femminile e quella maschile. In questa stima il fattore più impattante è la genitorialità: il 38% delle donne modifica la propria situazione lavorativa per esigenze familiari (contro il 12% degli uomini) e il 33% delle donne abbandona il mondo del lavoro dopo il primo figlio, con tassi crescenti all’aumentare del numero di figli.

Si segnala inoltre un divario contributivo (“gender pay gap”) importante tra uomini e donne che nel 2022 risulta intorno al 20-24%[4] nel solo settore privato.

In termini di partecipazione all’istruzione, invece, le donne risultano mediamente più istruite degli uomini (il 59% dei laureati italiani è donna e il voto di laurea femminile è di 2 punti superiore a quello maschile[5]), sebbene nelle discipline scientifico-tecnologiche si registrino dei dati più gratificanti per il genere maschile, dati che risultano ancor più rilevanti considerata l’alta richiesta di tali competenze in ambito lavorativo.

La dimensione del tempo, in particolare quello non remunerato e dedicato alla cura della famiglia e alla casa, continua a penalizzare significativamente le donne: l’Italia è fanalino di coda in Europa con l’81% di donne che vi si dedica tutti i giorni contro il 20% degli uomini (in confronto con il 79%-34% in Europa ed il 74%-56% in Svezia). La donna rimane, a tutta evidenza, la responsabile della gestione della casa e dei figli.

Un dato in positivo per l’Italia è invece la rappresentanza femminile nelle posizioni di potere, dovuto principalmente alla maggior presenza femminile negli organi societari delle società quotate e delle società pubbliche che risulta superiore alla media europea.

3) Il legislatore dalla parte delle donne

Il legislatore è stato negli ultimi anni più attento alle esigenze del mondo femminile, intervenendo nella disparità di trattamento tra uomini e donne, nell’ottica di agevolare il più possibile queste ultime nel perseguimento dei propri obiettivi professionali.

Si pensi, ad esempio, alla Legge Golfo-Mosca[6]. Per effetto dell’applicazione della normativa sulle quote di genere[7], la quota di donne negli organi sociali delle società quotate si avvicina oggi al 40%, quasi quattro volte rispetto a quella registrata prima dell’applicazione della legge (11,6% nel 2012)[8]. Nelle società pubbliche le donne ricoprono un terzo delle cariche (33,1% nel 2020), quasi il doppio rispetto al 2014 (17,5%).

Rimane però molto limitato il numero di donne che ricoprono ruoli di presidente o di amministratore delegato all’interno dei consigli di amministrazione delle società quotate ed è ancora rilevante la disparità nelle aziende non soggette alla legge, soprattutto in confronto ai paesi più avanzati in Europa[9].

Un’ulteriore misura che ha significativamente tenuto in considerazione la parità di genere è il c.d. Family Act[10] entrato in vigore il 12 maggio 2022. Si tratta di una legge delega al Governo per l’adozione di cinque diversi decreti a sostegno della famiglia nel suo complesso: dal sostegno all’educazione dei figli, promozione delle responsabilità genitoriali e riordino dei congedi parentali, al sostegno della parità di genere dei rapporti familiari, incentivando la condivisione della cura e l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro.

Nonostante l’entrata in vigore, la concreta adozione dei decreti è scandita da termini lunghi che si protraggono fino al 2024, tali per cui sembra ancora lunga la strada per la realizzazione delle cinque deleghe.

4) L’uguaglianza di genere come obiettivo trasversale del PNRR

In questo contesto si inserisce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che fa della parità di genere l’obiettivo trasversale di tutte e sei le “Missioni” dallo stesso previste. La persistenza di disuguaglianze di genere non è infatti solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica.

Per questo motivo le riforme e gli investimenti del PNRR condividono priorità trasversali, relative alle pari opportunità generazionali, di genere e territoriali (ci si riferisce in particolare al sud Italia). I progetti sono valutati sulla base dell’impatto che avranno nel recupero del potenziale dei giovani, delle donne e dei territori, e nelle opportunità fornite a tutti, senza alcuna discriminazione.

In particolare, le misure previste dal PNRR in favore della parità di genere intendono promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, aspirando ad intervenire a monte, nelle disparità di trattamento tra uomini e donne, garantendo a quest’ultime di perseguire i propri obiettivi in una prospettiva fondata su equa competizione, responsabilità e riconoscimento

5) Il percorso normativo per giungere alla certificazione per la parità di genere

Uno degli interventi promossi proprio nell’ambito del PNRR riguarda l’introduzione, entro dicembre 2022, della certificazione per la parità di genere. Questo obiettivo è parte della Missione 5 “lnclusione e coesione”. Più

nello specifico è inserita nella Componente 1, Investimento 1.3 (M5C1 – 1.3)[11]. Lo scopo ultimo del progetto, per cui sono stati stanziati 10 milioni di euro, è la definizione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente critiche: opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità. Il sistema di certificazione sarà aperto a tutte le imprese indipendentemente dal requisito dimensionale. Nella fase sperimentale – che durerà fino al secondo quadrimestre del 2026 – la certificazione sarà agevolata per le micro, piccole e medie imprese, e accompagnata da servizi di accompagnamento e assistenza[12].

L’introduzione di questo sistema si deve alla L. 162/2021, cui il PNRR si allinea ed in virtù del quale in data 29 aprile 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il  D.P.C.M. n. 152/2022 (il “Decreto”) che definisce i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere – già oggi accessibile a qualsiasi datore di lavoro – , rilasciata da uno degli Organismi di valutazione della conformità (CABs).

6) I benefici conseguibili grazie alla certificazione

Il rilascio della certificazione comporta per l’azienda la possibilità di accedere ai seguenti benefici:

  • sgravi contributivi nel limite dell’1% dei contributi complessivamente
  • dovuti e di € 50.000 annui per ciascuna azienda;
  • un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti;
  • una riduzione del 30% della garanzia fideiussoria per la partecipazione a gare pubbliche[13],
  • un migliore posizionamento in graduatoria nelle procedure ad evidenza pubblica[14].

 

7) I requisiti per il conseguimento della certificazione

Il Decreto si occupa di fissare i parametri minimi di conseguimento della certificazione, come prescritto dal comma 2 dell’articolo 4 della L. 162/2021 e dall’articolo 1 comma 147 della L. 234/2021. La normativa in questione riconosce che i parametri minimi sono quelli di cui alla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022.

La certificazione è rilasciata dagli organismi di valutazione della conformità accreditati in questo ambito ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008.

La prassi individua varie aree di indagine e valutazione, quali le politiche per la gestione della diversità di genere e per l’inclusione; opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Ogni area è contraddistinta da un peso espresso in termini percentuali che contribuisce alla misurazione del livello attuale dell’organizzazione d’impresa e rispetto al quale è misurato il miglioramento nel tempo. Per ciascuna area di valutazione sono stati identificati degli specifici KPI (Key Performance Indicators) con i quali misurare il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni 2 anni, al fine di dare evidenza del miglioramento ottenuto grazie alla varietà degli interventi messi in atto o delle correzioni attivate.

Ogni indicatore è associato a un punteggio il cui raggiungimento o meno viene ponderato per il peso dell’area di valutazione: è previsto il raggiungimento del punteggio minimo di sintesi complessivo del 60% per determinare l’accesso alla certificazione da parte dell’azienda.

Alle rappresentanze sindacali aziendali e alle Consigliere e ai Consiglieri territoriali e regionali di parità viene riconosciuto un ruolo di controllo e verifica sul rispetto dei requisiti necessari al mantenimento dei parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere. Qualora questi rilevassero anomalie o criticità, potranno segnalarle all’Organismo di valutazione della conformità che ha rilasciato la certificazione, previa assegnazione all’impresa di un termine, non superiore a centoventi giorni, per la rimozione delle stesse.

A tal fine, il Decreto introduce, a carico del datore di lavoro che si doti della certificazione di parità, un obbligo di informativa aziendale annuale sulla parità di genere, che rifletta il grado di adeguamento alla prassi.

8) Parità di genere nella pubblica amministrazione

L’art. 47, comma 4, del Decreto Legge 77/2021[15], sulle prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure, e le disposizioni del Bando tipo n. 1/2021[16] prevedono che il concorrente in una gara pubblica si impegni ad assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota di occupazione giovanile e femminile almeno pari al 30%[17].

Con una recente delibera[18], ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione)  ha confermato la legittimità dell’esclusione di un operatore economico da una gara per l’aggiudicazione di un contratto finanziato con i fondi del PNRR, in quanto non aveva assunto l’obbligo di garantire l’occupazione giovanile e femminile nelle percentuali richieste.

Si guarda altresì con piacere  alle iniziative del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri relative alla “fertilizzazione culturale”, ossia programmi mirati a innalzare il livello di consapevolezza della necessità di prevenire le diseguaglianze e la violenza di genere[19], a diffondere la cultura della leadership al femminile ed altresì a contrastare le difficoltà

di accesso delle donne alle carriere nelle materie STEM.

Anche a tal fine il Dipartimento ha emanato delle Linee Guida[20] rivolte a tutte le amministrazioni pubbliche – e in particolare alle figure che al loro interno ricoprono ruoli di vertice – contenenti spunti pratici e indicazioni di metodi e strumenti la cui adozione consenta l’individuazione di misure idonee ad evitare o a compensare svantaggi nelle carriere del genere meno rappresentato.

È interessante notare che le Linee Guida indicano alle amministrazioni la check-list  da analizzare al fine di prendere coscienza di quanto viene eventualmente fatto per garantire la parità di genere, nonché le modalità per redigere bandi di selezione per l’accesso alle carriere pubbliche che contengano informazioni relative alle misure che l’ente adotta per favorire l’inclusione delle donne nei ruoli di responsabilità, e che, in generale, non riproducano, anche indirettamente, discriminazioni di genere come, ad esempio, criteri di valutazione delle esperienze professionali che neutralizzino l’effetto negativo di assenza legate alla genitorialità o all’assolvimento di oneri di gestione familiare.

In aggiunta, lo stesso Dipartimento incoraggia forme di lavoro agile e riunioni in videoconferenza per garantire un work life balance, asili all’interno dei luoghi di lavoro, ovvero lo sfruttamento dei congedi parentali anche da parte dei genitori di sesso maschile. Ulteriormente interessante sembra essere la proposta di una “Carta del tempo del lavoro manageriale” che stabilisca buone pratiche di definizione di fasce orarie per fissare le riunioni e l’orario massimo oltre il quale una convocazione è da considerare un’eccezione.

Demandare al Legislatore il compito di creare le condizioni di parità non può che essere funzionale ad una più rapida e diffusa affermazione delle donne in ambito lavorativo. Ben vengano dunque interventi normativi che vadano nella direzione dell’uguaglianza di genere e che supportino il cambiamento valoriale e culturale verso il riconoscimento della parità femminile e maschile.

Ughi e Nunziante

Francesca Ricci, Tiziana Fiorella, Chiara Miccolis, Emanuela Burgio

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[1] Fonte: Gender Equality Index Report 2022.
[2] Basato confrontando i punteggi con quelli dell’EIGE Gender Equality Index Report 2013 (principalmente costruito su dati 2010).
[3] Accessibile presso: https://www.pariopportunita.gov.it/wp-content/uploads/2021/08/strategia-Parit%C3%A0_genere.pdf
[4] Fonte: Eurostat, sul punto cfr. Strategia Nazionale per la Parità di genere p. 14.
[5] Fonte: Report AlmaLaurea – Profilo dei laureati 2020.
[6] Legge 12 luglio 2011, n. 120
[7] Per effetto della Legge 162/2021 le disposizioni di cui all’art. 147-ter, comma 1-ter, del testo Unico della Finanza si applicano anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati.
[8] Fonte: Rapporto Consob sulla Corporate Governance, marzo 2022
[9] Quali la Francia, con una rappresentanza intorno al 44% ed estensione delle quote ad aziende non quotate con più di 250 addetti. Fonte: Strategia Nazionale per la Parità di Genere, p. 9.
[10] “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”, approvato in via definitiva dal Senato il 6 aprile e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.97 del 27 aprile, legge 32/2022
[11] Accessibile presso: https://italiadomani.gov.it/it/Interventi/investimenti/sistema-di-certificazione-della-parita-di-genere.html
[12] Si auspica infatti che entro giugno 2026 ci siano almeno 800 pmi certificate e 1.000 aziende che ricevono agevolazioni.
[13] art. 93, c. 7, D.Lgs. 50/2016, modificato dall’art. 34, c. 1, D.L. 36/2022.
[14] art. 95, c. 13, D.Lgs. 50/2016, modificato dall’art. 34, c. 2, D.L. 36/2022.
[15] Secondo cui è requisito necessario dell’offerta l’assunzione dell’obbligo di assicurare le quote ivi stabilite per l’occupazione femminile e giovanile con riferimento alle assunzioni necessarie all’esecuzione del contratto.
[16] Recante: “Schema di disciplinare di gara per procedura aperta telematica per l’affidamento di contratti pubblici di servizi e forniture nei settori ordinari sopra soglia comunitaria con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”.
[17] Ovvero inferiore ma previo inserimento nella determina a contrarre (o nell’atto equivalente) della motivazione alla deroga.
[18] Accessibile presso: https://www.anticorruzione.it/-/parere-di-precontenzioso-n.-451-del-5-ottobre-2022.
[19] Da giugno 2022 è attiva l’iniziativa “Riforma-Mentis” promossa dal Dipartimento della Funzione Pubblica con lo scopo, perseguito attraverso attività di autoformazione on-line, di sensibilizzare lavoratori e lavoratrici sull’importanza di un luogo di lavoro sicuro fondato su rispetto e pari opportunità, e innalzare il livello di consapevolezza dei dipendenti pubblici sul tema delle molestie di genere.
[20] Linee Guida sulla “Parità Di Genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni”.

La Cassazione apre al Foreign Tax Credit sui dividendi esteri percepiti da soggetti italiani

La Cassazione apre al foreign tax credit sui dividendi esteri percepiti da soggetti italiani

Credito di imposta sui dividendi distribuiti a persone fisiche residenti in Italia da società estere residenti in Stati con i quali l’Italia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni.

Sono queste le conclusioni raggiunte dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25698/2022.

Per comprendere la portata del principio di diritto espresso dalla Cassazione su una questione che è stata per anni oggetto di dibattito è necessario descrivere brevemente i termini della questione.

Come noto, ai sensi dell’art. 165 del TUIR, le persone fisiche (non imprenditori) che percepiscono dividendi esteri non possono beneficiare del credito per le imposte assolte all’estero sugli stessi dividendi.

Ciò in quanto, il credito per le imposte estere è concesso solo laddove il reddito estero concorre alla formazione del reddito complessivo, mentre i soggetti non imprenditori subiscono l’imposizione sostitutiva con l’aliquota del 26% senza la facoltà (prevista dall’art. 18 del TUIR) di far concorrere il reddito di capitale alla formazione del reddito complessivo. Le più recenti posizioni di prassi (principio di diritto n. 15 del 2019 e risoluzioni nn. 36 e 300 del 2019) confermano tale conclusione.

Per canto loro, le convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dall’Italia prevedono la tassazione concorrente dei dividendi nei due stati contraenti (con una limitazione all’aliquota di ritenuta nello stato della fonte), e la possibilità di fruire in Italia del credito per le imposte assolte all’estero.

Tuttavia, la maggior parte delle convenzioni concluse dall’Italia prevede che la fruizione del credito sia esclusa quando l’imposizione tramite ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva avvenga “su richiesta del beneficiario”, opzione esclusa dalla vigente legislazione interna (in vigore dal 2004).

È interessante notare che in undici recenti trattati – stipulati o rinnovati con Protocollo dal 2009 in poi – il tema che qui ci occupa è stato oggetto di un’apposita pattuizione, che prevede l’esclusione del credito di imposta nel caso in cui il reddito non concorre alla formazione del reddito complessivo “anche su richiesta del contribuente”[1].

Da anni la dottrina e gli operatori, nonostante la posizione contraria dell’Agenzia delle Entrate, sostengono in via interpretativa che, nell’ambito delle Convenzioni che contengono la formulazione meno recente, le imposte estere debbano essere considerate deducibili dall’imposta italiana, in quanto la normativa interna sarebbe di fatto incompatibile con le disposizioni convenzionali, le quali prevalgono sul diritto interno.

La Cassazione con la sentenza in commento si è pronunciata proprio su questo punto, enucleando il seguente principio di diritto: “Per i redditi di capitale di fonte estera, direttamente percepiti dal contribuente, persona fisica, titolare di una partecipazione non qualificata in una partnership di diritto internazionale (nel caso, statunitense), qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta – come nell’ipotesi di cui all’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’identità di funzione, di cui all’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – avvenga non «su richiesta del beneficiano d[el] reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata in un Paese estero (nel caso, Stati Uniti d’America) si deve considerare detraibile”.

Ciò in quanto, nell’opinione della Cassazione, l’interpretazione della locuzione “anche su richiesta del contribuente”, presente nelle convenzioni più recenti, rivelerebbe che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta in tutti casi (cioè anche nei casi in cui la ritenuta a titolo di imposta o l’imposizione sostituiva sia obbligatoria) lo ha previsto espressamente. Solo i trattati più recenti, dunque, escluderebbero tout court la possibilità di fruire del credito per le imposte estere in relazione ai dividendi percepiti in Italia.

Ne deriva che nella maggior parte dei casi sarà ora possibile per i soggetti non imprenditori godere del credito per le imposte assolte all’estero in relazione ai dividendi percepiti da società residenti in stati con i quali l’Italia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni. A tal fine sarà necessario presentare la dichiarazione dei redditi presentata nel Paese estero (quando prevista) e una certificazione rilasciata dall’autorità fiscale estera che attesti il pagamento, oppure una certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta accompagnata dalla ricevuta di versamento delle imposte.

Queste conclusioni peraltro si devono considerare applicabili anche nei casi di credito di imposta figurativo (“matching credit”) previsto in alcune convenzioni contro le doppie imposizioni quale ad esempio quella con il Brasile: ai sensi di tale convenzione infatti il credito di imposta spetta nella misura del 25% anche laddove lo stato della fonte (Brasile) non assoggetti ad imposizione il reddito medesimo (in particolare: dividendi, interessi e royalties) [2].

[1] Si tratta delle Convenzioni con Barbados, Cipro, Corea del Sud, Hong Kong, Malta, Mauritius, Monaco, Panama, Romania, Singapore e Taiwan. In tali Convenzioni, l’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 23 del trattato è modificato come segue. “Tuttavia, nessuna detrazione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia a imposizione mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero a imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente, ai sensi della legislazione italiana”. Formulazione ancora diversa si rinviene nella convenzione con la Colombia (art. 22, comma 2, ultimo periodo), e in quella con la Giamaica (art. 24, comma 2, ultimo periodo), che prevedono che non spetti alcun credito per imposte estere, qualora il reddito estero sia tassato in Italia con ritenuta o imposta sostitutiva “su richiesta o meno del beneficiario del reddito”.

[2] Cfr. art. 23, comma 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Brasile.

Il nuovo Registro dei Titolari Effettivi: gli obblighi di comunicazione a carico delle società e degli altri soggetti interessati

In data 25 maggio 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto 11 marzo 2022 n. 55 del Ministero dell’Economia e delle Finanze (il “Decreto MEF”) che, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, detta disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust e di istituti giuridici affini al trust.

Il Decreto MEF entra in vigore il 9 giugno 2022.

1.     Il Registro dei titolari effettivi e i soggetti obbligati

Il nuovo Decreto MEF istituisce il tanto atteso Registro dei titolari effettivi, previsto sin dal 2017 dal D.Lgs. n. 90 del 25 maggio 2017, che ha recepito in Italia la IV Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva UE 2015/849), modificando il D.Lgs. n. 231 del 21 novembe 2007.

Il Decreto MEF introduce, tra l’altro, un obbligo di comunicazione all’ufficio del Registro delle Imprese presso la CIIAA territorialmente competente dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva da parte dei seguenti soggetti:

  1. società dotate di personalità giuridica: società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni e società cooperative;
  2. persone giuridiche private: associazioni e fondazioni riconosciute e altre istituzioni di carattere privato che acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento tramite iscrizione nel registro delle persone giuridiche, ai sensi del D.P.R. del 10 febbraio 2000, n. 361;
  3. trust produttivi di effetti giuridici rilevanti a fini fiscali[1] e istituti giuridici affini ai trust stabiliti o residenti sul territorio della Repubblica Italiana.

Il Decreto MEF ha istituito due diverse sezioni nel Registro delle Imprese per le comunicazioni dei dati dei titolari effettivi avendo riguardo alla tipologia dei soggetti tenuti all’adempimento del nuovo obbligo:

  1. la sezione “autonoma”, che raccoglierà i dati e le informazioni sulla titolarità effettiva di società dotate di personalità giuridica e di persone giuridiche private;
  2. la sezione “speciale”, che raccoglierà i dati e le informazioni dei trust e degli istituti giuridici affini.
2.     I dati e le informazioni da comunicare e i soggetti responsabili della comunicazione

I dati e le informazioni sulla titolarità effettiva oggetto di comunicazione sono dettagliati all’art. 4 del Decreto MEF.

La comunicazione sulla titolarità effettiva al Registro delle Imprese dovrà includere, tra l’altro:

  1. per tutti i soggetti obbligati, i dati identificativi e la cittadinanza delle persone fisiche indicate come titolare effettivo;
  2. per le società dotate di personalità giuridica, in aggiunta a quanto previsto dalla lettera a) che precede:
    • l’entità della partecipazione al capitale della società da parte della persona fisica indicata come titolare effettivo;
    • ove il titolare effettivo non sia individuato in forza dell’entità della partecipazione, le modalità di esercizio del controllo oppure, in ultima istanza, i poteri di rappresentanza legale, amministrazione o direzione della società, esercitati dalla persona fisica indicata come titolare effettivo;
  3. per le persone giuridiche private, in aggiunta a quanto previsto dalla lettera a) che precede, il codice fiscale, la denominazione dell’ente, la sede legale e, ove diversa, quella amministrativa, e l’indirizzo di posta elettronica certificata;
  4. per i trust e gli istituti giuridici affini, in aggiunta a quanto previsto dalla lettera a) che precede, il codice fiscale, la denominazione, la data, il luogo e gli estremi dell’atto di costituzione del trust o dell’istituto giuridico affine;
  5. l’eventuale indicazione delle circostanze eccezionali che espongano il titolare effettivo ad un rischio sproporzionato[2], ai fini dell’esclusione dell’accesso alle informazioni della titolarità effettiva condivise con il Registro delle Imprese.

I soggetti responsabili della comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva sono:

  1. per le società dotate di personalità giuridica, gli amministratori o il fondatore, ove in vita;
  2. per le persone giuridiche private, i soggetti cui è attribuita la rappresentanza e l’amministrazione;
  3. per i trust e gli istituti giuridici affini, il fiduciario.
3.     La forma della comunicazione al Registro delle Imprese e le tempistiche per l’invio dei dati sui titolari effettivi

La comunicazione sulla titolarità effettiva andrà effettuata telematicamente al Registro delle Imprese competente attraverso il modello di Comunicazione Unica di impresa di cui al decreto dirigenziale del MISE del 19 novembre 2009[3].

Le specifiche tecniche del formato elettronico della Comunicazione Unica per la condivisione dei dati sulla titolarità effettiva saranno dettagliate in un decreto dirigenziale del MISE (il “Decreto MISE”), che dovrà essere adottato ed entrare in vigore entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto MEF[4].

Dunque, la comunicazione telematica dei dati e delle informazioni sui titolari effettivi da parte dei soggetti obbligati, allo stato attuale, non è stata ancora attivata e bisognerà attendere la pubblicazione di alcuni provvedimenti attuativi.

In particolare, le società e gli altri soggetti obbligati già esistenti dovranno effettuare le prime comunicazioni sui dati e sulle informazioni attinenti alla titolarità effettiva entro 60 giorni dalla pubblicazione di un provvedimento del MISE che attesterà l’operatività del sistema di comunicazione dei dati e delle informazioni al Registro delle Imprese (il “Provvedimento MISE”).

Tale Provvedimento MISE dovrebbe a sua volta essere pubblicato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del Decreto MEF e, in ogni caso, successivamente all’adozione e all’entrata in vigore del Decreto MISE che fornirà le specifiche tecniche del formato elettronico della Comunicazione Unica[5].

Ne deriva, in pratica, che salvo proroghe o ritardi, il Provvedimento MISE dovrà essere pubblicato entro la seconda settimana di agosto 2022 e la comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva dovrà essere completata da parte dei soggetti obbligati entro i successivi 60 giorni e, dunque, entro la prima settimana di ottobre 2022.

Le società e le persone giuridiche private, la cui costituzione sarà successiva alla data del Provvedimento MISE, dovranno provvedere alla comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva entro 30 giorni dalla iscrizione nei rispettivi registri, mentre i trust e gli istituti giuridici affini entro 30 giorni dalla loro costituzione[6].

4.    Le comunicazioni in caso di variazione e la conferma annuale dei dati

Il Decreto MEF prevede[7] che i soggetti obbligati comunichino eventuali variazioni dei dati e delle informazioni relative alla titolarità effettiva già condivise con il Registro delle Imprese entro 30 giorni dal compimento dell’atto che dia luogo alla variazione della titolarità effettiva.

Annualmente, inoltre, i soggetti obbligati dovranno provvedere alla conferma dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva, entro 12 mesi dalla data della precedente comunicazione.

Le società dotate di personalità giuridica potranno effettuare tale conferma annuale contestualmente al deposito del bilancio.

5.     Le sanzioni

I termini previsti dal Decreto MEF per la comunicazione dei dati e delle informazioni relative alla titolarità effettiva, delle loro variazioni e conferme annuali sono perentori[8].

La CCIIA territorialmente competente potrà provvedere all’accertamento e alla contestazione della violazione degli obblighi di comunicazione e all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, compresa tra i 103 e i 1.032 euro, ai sensi dell’art. 2630 c.c.[9]

[1] Ex art. 73 del Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR,  D.P.R. del 22 dicembre 1986 n. 917): cfr. art. 21, comma 3, primo periodo, del D.Lgs. n. 231 del 21 novembre 2007.

[2] V. art. 21, comma 2, lettera f) , secondo periodo, e comma 4, lettera d -bis ), terzo periodo, del D.Lgs. n. 231  del 21 novembre 2007: si tratta dei rischi di frode, rapimento, riscatto, estorsione, molestia, violenza, intimidazione o quando il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d’età.

[3] V. art. 3, comma 5 del Decreto MEF.

[4] V. art. 3, comma 5 del Decreto MEF.

[5] V. art. 3, comma 6 del Decreto MEF.

[6] V. art. 3, comma 7 del Decreto MEF.

[7] V. art. 3, comma 3 del Decreto MEF.

[8] V. art. 3, comma 8 del Decreto MEF.

[9] V. art. 4, comma 2 del Decreto MEF.

PNRR e Telemedicina: tra opportunità e punti di attenzione sotto il profilo normativo

1. Introduzione

Delle sei “Missioni” componenti la struttura fondamentale del PNRR, la sesta è interamente dedicata alla macro area della “Salute” ed è articolata in due componenti:

  • la creazione di reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza territoriale, con la finalità di rafforzare le prestazioni erogate capillarmente sul territorio nazionale; e
  • la ricerca e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, con particolare riferimento al completamento ed alla diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico, nonché all’integrazione di servizi di cloud computing.

2. Telemedicina

Per gli operatori del settore privato, si profilano interessanti opportunità soprattutto nell’ambito dell’assistenza domiciliare e telemedicina per le persone affette da malattie croniche, alla quale sono destinati, nell’ambito della prima componente, € 4 miliardi.

In questo contesto, potranno infatti essere finanziati progetti che consentano interazioni a distanza tra medico e paziente – in particolare diagnostica e monitoraggio – nonché iniziative di ricerca ad hoc su tecnologie digitali per la salute e l’assistenza. Tali progetti saranno proposti dalle Regioni sulla base delle priorità e delle linee guida definite dal Ministero della Salute, per le quali è previsto un termine di approvazione entro il mese di giugno 2022.

Il prossimo 6 giugno 2022 – in virtù della proroga della scadenza originariamente prevista per il 18 maggio – si chiuderà il termine per la presentazione delle proposte relative al primo bando attivato nell’ambito della Missione Salute, riguardante l’affidamento della concessione per la progettazione, realizzazione e gestione dei Servizi Abilitanti della Piattaforma Nazionale di Telemedicina PNRR (la “Piattaforma Nazionale”)”, pubblicato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (“AGENAS”).

Per la perimetrazione delle proposte di partecipazione a tale bando, è stato redatto un allegato che veicola specifiche indicazioni metodologiche relative a caratteristiche tecniche ed economico/finanziarie (l’“Allegato Agenas”- https://www.agenas.gov.it/images/agenas/In%20primo%20piano/pnrr/Allegato_Indicazioni_Metodologiche.pdf), e segnatamente:

  • le indicazioni concernenti le caratteristiche tecniche riguardano i servizi in perimetro (ad es. televisita, teleconsulto, telemonitoraggio e tele assistenza), le principali funzionalità, i modelli logico-funzionale ed architetturale, nonché i driver tecnologici;
  • le brevi indicazioni relative alle caratteristiche economico/finanziarie specificano che la concessione relativa alla piattaforma – che sarà di proprietà di AGENAS – avrà una durata massima di 8 anni, nel corso dei quali dovrà essere ammortizzato l’intero investimento previsto dal quadro economico; inoltre, alla consegna della piattaforma collaudata e attivata, prevista entro e non oltre il 2023, sarà erogato un contributo pubblico a fondo perduto, per un importo massimo pari al 49% del costo dell’investimento previsto dal quadro economico.

3. Profili normativi fondamentali: MDR e GDPR

Tra i profili normativi più rilevanti nell’ambito dello sviluppo di progetti nel settore della telemedicina, rivestono una particolare rilevanza (i) la qualificabilità delle piattaforme e delle apparecchiature di telemedicina come dispositivi medici e (ii) la tutela dei dati personali processati attraverso la piattaforma, tra cui i dati dei pazienti.

Sotto il primo profilo, va infatti segnalato il Regolamento UE 2017/745 sui dispositivi medici (“MDR”) – pienamente applicabile dallo scorso mese di maggio – regola non solo i dispositivi hardware utilizzati nell’ambito della telemedicina, ma – in presenza di determinate condizioni – anche il software, qualora impiegato per una o più delle destinazioni d’uso mediche di cui all’art. 2(1) MDR, tra cui rientrano gli scopi di diagnosi, monitoraggio e rilevazione; diversamente, secondo il Considerando n. 19 del MDR, “il software destinato a finalità generali, anche se utilizzato in un contesto sanitario (…) non è un dispositivo medico”.

Per quanto concerne la funzione concretamente svolta dal software ai fini della classificazione dello stesso come dispositivo medico, le linee guida sulla qualificazione del software ai sensi del MDR – emanate dal Medical Device Coordination Group nell’ottobre 2019 – evidenziano il ruolo attivo che il software deve avere nel “processareanalizzarecreare o modificare informazioni di natura sanitaria (…) se la creazione o la modifica di tali informazioni è retta da uno scopo di natura sanitaria”.

Per converso, tali linee guida chiariscono che anche se il software ha uno scopo di natura sanitaria, esso non rientra nella definizione di dispositivo medico ove la sua funzione sia limitata ad un’attività di conservazione, archiviazione o semplice ricerca di informazioni in una libreria, senza alcuna attività di creazione, analisi, modifica o elaborazione dei dati.

Per gli operatori del settore è, quindi, di centrale rilevanza valutare – sulla base dei criteri menzionati – se una piattaforma di telemedicina possa rientrare o meno nell’ambito di applicazione del MDR.

Qualora la piattaforma sia qualificabile come dispositivo medico, si pone infatti la questione della certificazione della stessa ai sensi del MDR e della relativa marcatura CE: a tal riguardo, nell’“Accordo Stato-Regioni sulle Indicazioni Nazionali per la telemedicina” del 17 dicembre 2020 viene affermata la necessità della “Certificazione dell’hardware o del software, come dispositivo medico, idonea alla tipologia di prestazione che si intende effettuare in telemedicina”.

Sul punto, va segnalata un’interessante sentenza recentemente emessa dal Tar Lombardia Milano, sez. IV, 23.2.2022 n.452, avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione di una gara per l’affidamento di un servizio di telesorveglianza domiciliare. Nel caso in questione, il Tribunale amministrativo ha ritenuto irrilevante la carenza di certificazione CE come dispositivo medico della piattaforma telematica, sulla base del fatto che essa non avrebbe di per sé svolto alcuna attività medica in senso strettoma avrebbe esclusivamente eseguito compiti “accessori e di supporto” all’attività di telemedicina vera e propria, effettuata per mezzo degli apparecchi destinati all’acquisizione di parametri clinici del paziente (saturimetri ed elettrocardiografi).

In questo senso, anche il bando relativo alla Piattaforma Nazionale non menziona tra i requisiti la marcatura CE come dispositivo medico. Ciò detto, va anche considerato che, nel caso di integrazione della piattaforma di teleassistenza con funzionalità accessorie volte a consentire l’elaborazione di dati anche attraverso algoritmi di intelligenza artificiale e/o analisi predittive, i relativi moduli software potrebbero essere qualificati come dispositivi medici a tutti gli effetti ed essere, quindi, soggetti ai relativi vincoli normativi; tra cui appunto l’obbligo di certificazione e di marcatura CE come dispositivo medico.

Se l’applicazione del MDR alla Piattaforma Nazionale comporta delle valutazioni che dovranno essere condotte caso per caso, ben pochi dubbi vi sono, invece, in merito alla piena applicabilità degli obblighi imposti dal Regolamento UE 2016/679 in materia di protezione dei dati personali (“GDPR”), alcuni dei quali sono peraltro esplicitamente menzionati ed analizzati nell’Allegato Agenas.

In questo senso, è fondamentale che – sin dalla fase di progettazione – vengano tenuti nella massima considerazione i principi di privacy by design e privacy by defaultvolti a limitare il trattamento ai soli dati personali strettamente necessari per la fruizione dei servizi erogati tramite la piattaforma ed a garantire l’adozione di adeguate misure di sicurezza idonee ad eliminare o, comunque, mitigare i rischi per i diritti e le libertà di pazienti e operatori sanitari.

Ai fini della verifica della adeguatezza delle misure previste, è sicuramente consigliabile l’effettuazione da parte del fornitore della piattaforma di un assessment preliminare sulla base di una metodologia analoga a quelle suggerite dal Garante per la Protezione dei Dati Personale o da altre Autorità di Controllo europee ai fini della valutazione di impatto sulla protezione dei dati ai sensi dell’articolo 35 del GDPR.

4. Interoperabilità con il Fascicolo Sanitario Elettronico

È, infine, importante segnalare che, per ottenere i finanziamenti che saranno erogati, i progetti di telemedicina dovranno potersi integrare con il Fascicolo Sanitario Elettronico e raggiungere target quantitativi di performance legati ai principali obiettivi della telemedicina.

Al potenziamento del FSE è, peraltro, specificamente dedicato l’Investimento 1.3 della Componente 2 della Missione Salute, da attuarsi tramite specifici piani di azione a livello centrale e locale, per i quali però non sono ancora previste date precise per la redazione e l’attuazione.

PNRR, Pitesai e crisi ucraina, strumenti e acceleratori per la transizione ecologica, ma sarà davvero possibile?

La transizione ecologica costituisce una priorità della NextGenerationEU ed in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione entro il 2030, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR – ha riservato 69,94 miliardi di Euro, vale a dire circa il 35% dello stanziamento totale, agli obiettivi climatici.

Ed è proprio la Seconda Missione del PNRR, denominata Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, dedicata ai grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell’inquinamento, ad occupare la fetta più grande degli investimenti del Piano, con l’obiettivo – da realizzare in tempi relativamente brevi – di raggiungere un sistema socio economico sostenibile, verso una società a impatto ambientale pari a zero.

La progressiva e completa decarbonizzazione del sistema trova il suo principale volano nell’incremento della quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile, nell’adeguamento e potenziamento delle infrastrutture, nell’implementazione dell’idrogeno e nello sviluppo di un trasporto locale più sostenibile. Interventi questi che – in base alle previsioni del PNRR – non possono prescindere dall’introduzione di fondamentali riforme legislative, tra cui la semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti di energie rinnovabili onshore e offshore, la previsione di un nuovo quadro giuridico per sostenere la produzione da fonti rinnovabili e la proroga dei tempi e dell’ammissibilità degli attuali regimi di sostegno, nonché una serie di interventi normativi volti alla promozione della produzione e del consumo di gas rinnovabile e di idrogeno.

L’approvvigionamento di energia elettrica tramite le rinnovabili

Le suddette riforme e la revisione sistematica del quadro giuridico in ambito energie rinnovabili sono state avviate già a partire dall’anno scorso con l’introduzione di importanti modifiche legislative, tutte volte alla semplificazione e facilitazione della realizzazione degli impianti.

Si pensi, ad esempio, al D.L. 77/2021 (c.d. “Decreto Semplificazioni”, convertito con L. n. 108/2021), che inserendo il comma 9-bis all’art. 6, D.Lgs n. 28/2011, ha previsto la possibilità di realizzare tramite Procedura Abilitativa Semplificata gli impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW ricadenti in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale discariche o lotti di discarica chiusi e ripristinati ovvero in cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento.

Ovvero al D.Lgs n. 199/2021 (c.d. “Decreto Rinnovabili”, con il quale è stata data attuazione alla direttiva UE n. 2018/2001 – Direttiva Red II – sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) che ha previsto, tra altro, l’obbligo di stabilire principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, stabilendo che – nelle more della suddetta individuazione – sono da considerarsi certamente idonee (art. 20): (i) le aree ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica non sostanziale ai sensi dell’articolo 5, commi 3 e ss., del D.Lgs n. 28/2011; (ii) le aree dei siti oggetto di bonifica individuate ai sensi del Titolo V, Parte quarta, del D.Lgs n. 152/2006; (iii) le cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale. Per l’installazione di impianti nelle aree idonee sono altresì state introdotte alcune semplificazioni procedurali, tra cui la non vincolatività del parere obbligatorio in materia paesaggistica (dal quale l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione può prescindere, qualora decorso il termine, lo stesso non venga espresso), nonché la riduzione di un terzo dei termini delle procedure di autorizzazione (art. 22).

Tanto brevemente rilevato, la revisione del quadro giuridico – in ottica semplificazione – in materia di rinnovabili ha – di recente – subito un’importante accelerazione in seguito alla crisi ucraina, in ragione della quale il Governo Italiano punterebbe ad anticipare i tempi della decarbonizzazione al 2025 e a diventare indipendente dal gas russo entro il 2023.

Traguardi certamente ambiziosi, per raggiungere i quali è stato adottato il D.L. n. 17 del 01.03.2022 (c.d. “Decreto Bollette” o “Decreto Energia”), convertito con L. n. 34 del 27.04.2022.

Per quanto qui di interesse, si segnala che tali norme prevedono alcune importanti semplificazioni in tema di autorizzazioni per l’installazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ed in particolare:

  • Nelle aree idonee (identificate ai sensi dell’articolo 20 del Decreto Rinnovabili) la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici di nuova costruzione, nonché il potenziamento, il rifacimento e l’integrale ricostruzione di quelli esistenti (purché non venga variata l’area interessata) sono soggetti ai seguenti regimi:
    1. impianti fino a 1 MW: si applica la Dichiarazione di Inizio Lavori Asseverata – DILA – ai sensi dell’art. 6, D.lgs. n. 28/2011, per tutte le opere da realizzare su aree nella disponibilità del proponente;
    2. impianti da 1 MW e fino a 10 MW: si applica la Procedura Abilitativa Semplificata – PAS – ai sensi dell’art. 6 bis, D.lgs. n. 28/2011;
    3. impianti da 10 MW: si applica la procedura di Autorizzazione Unica – AU – ai sensi dell’art. 5 bis, D.lgs. n. 28/2011.
  • Sono soggetti a DILA
    1. gli interventi di modifica non sostanziale che determinino un incremento della potenza installata e la necessità di ulteriori opere connesse senza incremento dell’area occupata;
    2. l’installazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza inferiore a 1 MW, da realizzarsi in aree idonee, non sottoposte a vincoli di tutela culturale e del paesaggio e per le quali non siano previste procedure di esproprio.
  • È considerata intervento di manutenzione ordinaria, non soggetta ad alcuna autorizzazione o atto di assenso, l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, o su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici, fatta salva l’installazione su edifici di notevole interesse pubblico (individuati mediante apposito provvedimento amministrativo), per la quale è confermato l’obbligo della previa acquisizione dell’autorizzazione paesistica. La semplificazione non si applica agli immobili di pregio e nei centri storici qualora l’installazione di pannelli integrati riguardi coperture visibili da spazi pubblici esterni e da punti di vista panoramici e – in ogni caso – coperture i cui manti siano realizzati in materiali della tradizione locale.
  • La PAS è stata estesa
    1. ai nuovi impianti fotovoltaici di potenza fino a 10 MW da realizzare in aree idonee, nonché agli impianti agro-voltaici da realizzarsi nel raggio di 3 km da aree a destinazione industriale, artigianale e commerciale. Per tali impianti la soglia a partire dalla quale è prevista la verifica di assoggettabilità a I.A. passa da 10 MW a 20 MW, purché le aree oggetto di installazione non siano classificate quali non idonee;
    2. agli impianti solari flottanti fino a 10 MW, ad eccezione degli impianti installati in bacini d’acqua all’interno di aree di notevole interesse pubblico, aree naturali protette o di siti rete Natura 2000.

Con il D.L. n. 50 del 17.5.2022 (c.d. “Decreto Aiuti”) è stato inoltre disposto che:

  • la PAS per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nelle aree idonee, già prevista dal Decreto Rinnovabili, ovverosia la non vincolatività del parere obbligatorio in materia paesaggistica nonché la riduzione di un terzo dei termini delle procedure di autorizzazione, si applica anche – ove ricadenti su aree idonee – alle infrastrutture elettriche di connessione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelle necessarie per lo sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale, qualora strettamente funzionale all’incremento dell’energia producibile da fonti rinnovabili;
  • nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, qualora il progetto sia sottoposto a VIA statale, le eventuali deliberazioni del Consiglio dei Ministri sostituiscono il provvedimento di VIA.
  • al fine di aumentare la capacità di produzione di energia elettrica rinnovabile, alle imprese operanti nel settore agricolo, zootecnico e agroindustriale è consentito realizzare impianti fotovoltaici sulle coperture delle proprie strutture produttive, con potenza eccedente il consumo medio annuo di energia elettrica, compreso quello familiare. È consentita, inoltre, la vendita dell’energia elettrica prodotta.

In relazione alle aree idonee, il Decreto Energia, tra altro, inserisce le aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica tra quelle privilegiate all’installazione ed amplia l’elenco delle aree idonee ex lege. Sul punto è intervenuto anche il Decreto Aiuti che ha annoverato tra le aree idonee quelle non interessate dalla presenza di beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei Beni Culturali), né ricadenti nella fascia di rispetto dei beni tutelati ai sensi della parte seconda oppure dell’articolo 136, aree di notevole interesse pubblico, dello stesso codice. In questo caso la fascia di rispetto è determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici.

Al di là delle semplificazioni procedurali – sopra sinteticamente descritte –, la transizione verde non può prescindere da strumenti di incentivazione economica, in relazione ai quali, da un lato è intervenuto il Decreto Energia, che ha previsto deroghe al divieto di accesso agli incentivi degli impianti da collocarsi in aree agricole, dall’altro sono già al vaglio del Ministero della Transizione Ecologica il Decreto FER 2, con il quale si dovrebbero completare i meccanismi di sostegno – estendendoli alle tecnologie non mature o con costi operativi elevati (in linea con gli obiettivi fissati dal PNRR) – destinati a geotermia, eolico offshore, biomasse, biogas e solare termodinamico, nonché un “nuovo FER 1”, destinato alle tecnologie più mature.

L’approvvigionamento di gas tramite gli idrocarburi nazionali

Il 13 febbraio scorso, prima dell’invasione dell’Ucraina, il Ministero della Transizione Ecologica ha pubblicato il PiTESAI, ossia il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, approvato il 28 dicembre 2021 con decreto ministeriale, in applicazione dall’art. 11-ter, D.L. n. 135/2018.

Obiettivo del Piano era l’individuazione, mediante un approccio strategico territoriale, di un quadro definito delle aree in cui è consentito lo svolgimento (e la prosecuzione) delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi nazionali, per valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle aree stesse e accompagnare la transizione del sistema energetico nazionale alla decarbonizzazione.

Con la formulazione del PiTESAI sono stati individuati i criteri ambientali, sociali ed economici, in base ai quali stabilire se una determinata area sia potenzialmente idonea alle attività minerarie e/o compatibile alla loro prosecuzione, se già in essere.

Le istanze di prospezione e ricerca potranno proseguire solo se riguardanti gas, solo se presentate a partire dal 1° gennaio 2010 e ricadenti in “aree potenzialmente idonee”.

Quanto alla coltivazione, il PiTESAI prevede anzitutto che i procedimenti relativi a istanze di concessione in “aree potenzialmente idonee” proseguono, così come quelli ricadenti in “aree potenzialmente non idonee”, purché il potenziale minerario di gas sia superiore a 150 MSmc.

Nei casi in cui non sia stato accertato detto potenziale minerario, le concessioni di coltivazione in terraferma e in mare proseguono solo se hanno infrastrutture in essere o già approvate in “aree potenzialmente idonee”, salvo quelle improduttive da più di 7 anni prima dell’adozione del Piano per motivi dipendenti da scelte del concessionario, che invece non proseguono.

Inoltre, mentre le concessioni in mare proseguono anche se hanno una o più infrastrutture in “aree potenzialmente non idonee”, salvo quelle improduttive da più di 5 anni prima del Piano per motivi dipendenti da scelte del concessionario, le concessioni in terraferma proseguono anche se hanno una o più infrastrutture all’interno di “aree potenzialmente non idonee”, purché siano produttive o improduttive da meno di 5 anni prima del Piano e a condizione che, a seguito di una particolare analisi dei Costi e Benefici (c.d. CBA) ottengano un risultato tale per cui i costi della mancata proroga siano superiori ai benefici. Infatti, in questo ultimo caso, le concessioni potranno restare in vigore e beneficiare di una proroga almeno fino a quando l’analisi dei Costi e Benefici, nel senso sopra precisato, ne giustificherà la prosecuzione.

Infine, le altre concessioni di coltivazione vigenti che, alla data di adozione del PiTESAI non ricadranno nella predetta casistica, resteranno in vigore fino alla scadenza – da intendersi come scadenza del titolo o della proroga anche in corso di rilascio – senza possibilità di eventuali ulteriori proroghe.

Numerose e rilevanti sono le perplessità che suscita il PiTESAI sul piano giuridico. Al di là della discutibilità della scelta strategico-politica di limitare le attività minerarie sul gas, visto il limitato impatto inquinante di tali attività, si pensi soltanto al fatto che le concessioni di coltivazione a gas, per essere rilasciate, hanno dovuto superare procedure ambientali VIA-AIA ad hoc. I criteri di individuazione delle aree non idonee non risultano fondati su istruttorie altrettanto specifiche e approfondite. Non è facile comprendere, pertanto, la ratio sottostante al divieto di ulteriori proroghe. Inoltre, il rischio sotteso alle limitazioni introdotte dal PiTESAI riguarda la violazione del legittimo affidamento nonché dei diritti e interessi degli investitori che potrebbero anche intentare contro lo Stato italiano giudizi risarcitori per importi estremamente elevati.

A conferma di tali perplessità, a fronte dello scenario descritto, lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha costretto il Governo italiano ad un celere e drastico ripensamento dei suoi contenuti, attraverso l’approvazione, a fine marzo scorso, del Decreto Energia, che ha introdotto misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina.

In particolare, l’art. 16 del Decreto Energia ha fissato una serie di misure per fronteggiare l’emergenza caro energia attraverso il rafforzamento della sicurezza di approvvigionamento di gas naturale a prezzi equi e la riduzione delle emissioni di gas climalteranti.

La previsione ha eliminato la distinzione tra aree produttive e improduttive da più di 5 o 7 anni contenuta nel PiTESAI, ma ha mantenuto ferma la distinzione tra aree potenzialmente idonee e non, introducendo, con riguardo alle sole aree potenzialmente idonee, uno speciale iter procedimentale che consente al GSE, in accordo con il Ministero della Transizione Ecologica e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di valutare l’idoneità degli impianti alla produzione di gas naturale.

Segnatamente, è previsto che, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto, il GSE -o le società da esso controllate- avvii, su direttiva del Ministro della transizione ecologica, procedure per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale da tutti i titolari di concessioni di coltivazione di gas, a prescindere dal fatto che il loro impianto di coltivazione ricada in aree produttive da più di 7 o 5 anni o si trovi in condizione di sospensione volontaria dell’attività, ma a patto che l’impianto stesso ricada in tutto o in parte in aree considerate idonee secondo le indicazioni fornite nel PiTESAI.

Successivamente, il GSE invita i titolari di concessioni di coltivazione di gas naturale, ricadenti nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale, a manifestare interesse ad aderire alle procedure di cui sopra, tramite la comunicazione al GSE, al MiTe e all’Arera, entro i successivi 30 giorni, di programmi di produzione di gas naturale delle concessioni in essere, per gli  anni dal 2022 al 2031, nonché un elenco di possibili sviluppi, incrementi o ripristini delle produzioni di gas naturale per lo stesso periodo nelle concessioni di cui sono titolari, delle tempistiche massime di entrata in erogazione, del profilo atteso di produzione e dei relativi investimenti necessari.

I procedimenti di valutazione e autorizzazione delle opere necessarie alla realizzazione dei piani di interventi si concludono entro sei mesi dalla data di avvio dei procedimenti medesimi.

Infine, il Decreto Aiuti ha introdotto alcune disposizioni in ottica di semplificazione e accelerazione della produzione di energia da combustibili fossili e rigassificazione. Nello specifico:

  • i gestori degli impianti che producono energia da combustibili fossili comunicano all’Autorità competente al rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, le deroghe necessarie alle condizioni autorizzative indicando altresì il periodo di durata non superiore a sei mesi, decorrente dalla data della notifica. Se alla scadenza di tale termine permane la situazione di eccezionalità i gestori comunicano all’Autorità competente le nuove deroghe necessarie alle condizioni autorizzative, indicando il periodo di durata delle stesse che, in ogni caso, non è superiore a sei mesi dalla data della nuova notifica;

ha definito quali interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti tutte le opere finalizzate all’incremento della capacità di rigassificazione nazionale e alla realizzazione di nuove unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione nonché le relative infrastrutture. Per accelerare tali opere, oggetto di un procedimento unico, saranno nominati uno o più Commissari straordinari di Governo. L’autorizzazione verrà concessa dal Commissario, sempre con procedimento unico, ma in tempi più rapidi: 120 giorni in luogo degli attuali 200, decorrenti dalla data di ricezione dell’istanza. Sarà interessante verificare se gli scenari geopolitici magmatici e le rinnovate esigenze di politica energetica possano indurre il Governo italiano ad ulteriori inversioni di marcia in materia di idrocarburi.

Employment Law Updates – Reopening decree, green pass, smart working, court decisions and more

In this issue:

 Legislation:

  • Law by Decree no. 24/2022 (the “Decreto Riaperture”, i.e. the “Reopening Decree”): a quick summary
    • Preamble: existing types of green pass certificate;
    • End of the Green Pass Certificate Requirements;
    • Employment focus.
  • The “Family Act”.

Real World Questions:

  • Can the employer freely withdraw from a smart working agreement?
  • Can trial/probationary periods and notice periods be agreed upon in fixed-term employment contracts?

Court Decisions:

  • The judge must apply conservative disciplinary measures when the applicable CBA provides them for the employee’s unlawful conduct, even if such provision is expressed in general or elastic clauses (Supreme Court, judgement of April 11, 2022, No. 11665);
  • Concerning collective dismissals, terminated employees can be reinstated if the dismissal communication made it impossible to understand how the agreed selection criteria were applied to them (Supreme Court, judgement of March 25, 2022, No. 9800).

Sources:

  1. Law by Decree no. 24/2022
  2. Bill with delegations to the Government for the support and enhancement of the family;
  3. Law no. 81/2017;
  4. Protocol of 7 December 2021;
  5. Supreme Court, judgement of April 11th, 2022, No. 11665;
  6. Supreme Court, judgement of March 25th, 2022, No. 9800.

Legislation

1)“Reopening Decree

1.1) PREMABLE: existing types of Green Pass Certificate

On March 31, 2022, the state of emergency ended and as a result many of the restrictive measures previously adopted to contain the pandemic have been progressively abandoned. For this purpose, the Law by Decree No. 24/2022 (“Reopening Decree” or, in Italian, “Decreto Riaperture”) has been issued, brining many changes, especially in reference to the Green Pass requirements.

To fully comprehend these incoming changes, however, the following distinctions must be kept in mind:

  • The Basic Green Pass is a COVID-19 Green Certification received after a vaccination, a full recovery, a rapid antigen test, or a molecular test that gave negative results;
  • The Enhanced Green Pass or “Super Green Pass” is a COVID-19 Green Certification received only after a vaccination or a full recovery. In other words, the Super Green Pass cannot be received after simply passing (with a negative result) a rapid antigenic or molecular test;
  • The Green Pass Booster is a COVID-19 Green Certification received only after the administration of the booster dose, following the completion of the primary vaccination cycle.

1.2) End of the Green Pass Certificate Requirements

Until April 30, 2022, a Super Green Pass Certificate was required to enter the following indoor locations: gyms, swimming pools, spas, convention centres, cultural centres, social and recreational centres, parties of any kind, arcades/gaming halls, betting halls, bingos, casinos, ballrooms, nightclubs, public events and sporting events, as well as to perform any team or contact sport.

Furthermore, until April 30 2022, a Basic Green Pass Certificate was required to enter the following indoor locations: cafeterias, restaurants (with the exception of hotel restaurants, that required a Basic Green Pass even if located outdoor), public competitions, training classes and to carry out in-person interviews with inmates, as well as to participate in outdoor public shows, sporting competitions and events.

This being said, as of May 1, 2022, no Green Pass Certificate is required for any of the above activities, as well as practicing sports; entering shops, restaurants, businesses, public offices, museums, and hotels; or using local public transportation, including subways, buses and trams.

1.3) Employment focus

The Reopening Decree provides for new regulations concerning employment in Italy, with the COVID-related state of emergency ended on March 31, 2022, and that the Green Pass Certificate is no longer required in the vast majority of cases. These regulations can be summarized as follows:

  • No Green Pass of any type (Basic, Super or Booster) is required to access either public or private workplaces, with the sole exception of hospitals and nursing homes and provided the vaccination requirements described herein below are met, where applicable;
  • until June 15, 2022, all personnel of schools, universities, public safety and rescue teams, local and penitentiary police forces as well as foresters will need to be vaccinated against COVID to perform their jobs and duties;
  • until June 15, 2022, all Italian citizens, as well as citizens from the European Union that reside in Italy and foreigners who benefit from the Italian Health Care system, are still required to vaccinate against COVID-19 if they are currently 50 years old or older or they will be 50 years old by June 15, 2022;
  • until June 30, 2022, the so-called “simplified smart working”, that allows employers to request that their employees carry out their duties in smart working (for example, from their homes) without needing a specific individual agreement with each employee, as otherwise required by Law No. 81/2017, will still be available, as we already discussed in our last “Employment Law Updates” of March 24, 2022. In this regard, it must be noted that currently existing smart working agreements between employers and employees will remain valid and in effect regardless of this extension of the simplified smart working, unless both the employers and the affected employees agree to postpone the start of their respective smart working agreements to July 1, 2022;
  • until December 31, 2022, all medical personnel, including those employed in Nursing Homes, will need to be vaccinated against COVID to perform their jobs and duties.
2)“Family Act

The “Family Act” is an innovative bill aimed at counteracting the steady decline in births in Italy through family policies, training and youth empowerment, the strengthening of the welfare system, the so-called universal unique allowance, better support with regard to the expenses due to children’s education, revision of parental leave with a better balance between work and childcare for both parents, as well as measures to encourage women’s employment.

Some of the most interesting provisions of the Family Act can be summarised as follows:

  • Universal unique allowance: families lawfully residing in Italy (either via Italian citizenship or regular residence permits) with a dependent child (from the 7th month of pregnancy and onward) until his/her 21st birthday will be able to request a new allowance, that will replace all other deductions previously provided to help families with dependent children (such as the deductions on income taxation for dependent children; the allowances for minors and/or for large families; the so-called Baby-Bonus, the birth bonus and the birth fund for loan guarantees). This new allowance is called “universal” because it will be available to all taxpayers and not just subordinate employees; furthermore, this new allowance will be calculated considering each requesting family’s income and total number of dependent children;
  • Parental leave: working parents will be able to take a parental leave until their child’s 14th birthday, while previously this option was available only until the child’s 12th Working parents will also be able to take, subject to prior notice to their employer, a specific paid leave of at least five hours per year for each child, for interviews with teachers and to participate actively in their child’s growth. Parental leaves will also be usable in a more flexible manner, pursuant to the applicable CBA provisions and to better help single-parent families. Furthermore, parental leave will have a “non-transferable” minimum duration of 2 months. Concerning fathers, their mandatory paternity leave will be extended above the 10 days currently provided, regardless of the father’s seniority and family status. Lastly, the indemnity received by workers while on non-mandatory parental leave will also gradually increase, ideally from the current 30% to 50% of the worker’s salary.
  • Autonomous workers: the Family Act also delegates the Government to issue provisions and measures aimed at extending to autonomous workers and freelancers the same parental leave regulations applied to subordinate workers.

Real World Questions

Question 1

Can the employer freely withdraw from a smart working agreement?

Answer

The Italian legislation on smart working (contained in Law 81/2017 and the Protocol of 7 December 2021) provides for two types of smart working agreement, with different rules concerning withdrawal.

Both the employer and the employee that enter an open-ended smart working agreement can withdraw from it by giving no less than thirty days’ notice. In the case of a worker with certified disabilities, the notice due by the employer that chooses to terminate the smart working agreement is raised to a minimum of ninety days, to better support the additional needs of this kind of worker. In the presence of a justified reason, each of the entering parties can withdraw without notice from an open-ended agreement.

Concerning fixed-term smart working agreements, it is not possible for either the employer, or the employee, to withdraw from such agreements before their natural expiry date unless a justified reason is provided by the withdrawing party, in which case no notice period needs to be given to the other party.

In conclusion, employers cannot freely withdraw from open-ended smart working agreements without giving the employee the required minimum notice, unless there is a justified reason. On the other hand, employers may withdraw from fixed-term smart working agreements before their expiry date only if they can provide the affected employee with a justified reason, in which case no notice period is needed.

Question 2

Can trial periods and notice periods be agreed upon in fixed-term employment contracts?

Answer

First of all, pursuant to the Italian Employment legislation, notice and trial periods are defined by the applicable National Collective Bargaining Agreement (“CBA”) and depend on each employee’s job level as it is described in the applied CBA. This being said, individual employment contracts can provide for notice and probation periods that differ from those already provided under the applied CBA, but only if these provisions are more favourable to the employee. In other words, an individual employment contract can only provide for a longer notice period (in case of termination) or a shorter probation period than those provided under the applied CBA.

Concerning fixed-term employment contracts, the following must be noted:

  • They do not provide for a notice period, because by nature they have a specific expiration date agreed upon by the parties, who therefore do not need “the safety net” of the notice period. Furthermore, the only way to terminate a fixed-term contract before its expiration date is a so-called “just cause”, which implies an immediate termination without any notice period;
  • in the context of multiple fixed-term contracts subsequently entered with the same employee and for the same duties, there can be only one trial period in total;
  • lastly, the duration of the trial period in a fixed-term employment contract should always be proportionate to the duration of the contract itself (for example, a 3-month fixed-term contract should not provide for a 60 working days probation period).

Court Decisions

1. The judge can apply conservative disciplinary measures when the applicable CBA provides them for the employee’s unlawful conduct, even if such provisions are expressed in general or elastic clauses.

Supreme Court, judgement of April 11, 2022, No. 11665

On the subject of disciplinary dismissal, subordinate workers hired before March 7, 2015 benefit from a more protective set of rules, contained in Article 18 of the Workers’ statute.

In particular, these workers can be reinstated when their unlawful conduct can be ascribed to those that are punishable with a conservative disciplinary measure (i.e. anything that does not result in the employee’s disciplinary dismissal) pursuant to the National Collective Bargaining Agreement (CBA) that is applied to them.

Some CBAs however, are particularly vague when describing what conducts should result in a disciplinary dismissal and what should instead be punished with a lighter measure (such as a fine or, in the most severe cases, a suspension from work without pay) and, until this particular ruling, the Supreme Court traditionally treated the reinstatement of the workers as a residual option, to be issued only whenever the relevant conduct could not be precisely attributed to CBA provisions that provides for a conservative measure instead of a disciplinary dismissal.

This being said, in this recent ruling the Supreme Court drastically changed its habits, this time stating that the Labour Judge can apply conservative disciplinary measures against employees even when the “softer” CBA provisions use general or elastic clauses to describe the respective conducts and, therefore, treating the worker’s reinstatement not as a residual option, but as the main remedy in cases such as this.

2. Concerning collective dismissals, terminated employees can be reinstated if the dismissal communication made it impossible to understand how the agreed selection criteria were applied to them.

Supreme Court, judgement of March 25, 2022, No. 9800

Pursuant to Italian Employment Legislation, employers must issue a specific communication to the appointed Regional Labour Office when executing a collective dismissal, containing for each terminated employee his/her name, place of residence, position, level of employment, age, family burdens, as well as precise details of the methods used to apply the criteria previously discussed with the Trade Unions in the context of a collective dismissal procedure by which said employee was dismissed instead of his/her other colleagues.

On this regard the Supreme Court recently stated that the purpose of the abovementioned communication should be identified in the need to control not only the effectiveness of the choices made by the employer, but also the way in which the abovementioned criteria previously agreed with the Unions were actually applied.

Furthermore, the Court also stated that if the abovementioned communication is so generic that it prevents the affected workers from understanding why they, and not their other colleagues, have been dismissed and, therefore, how they could challenge the employer’s decision to dismiss them, the affected workers should be reinstated (and not only indemnified), because such scenario would be comparable to a clear violation of the agreed selection criteria, for which the relevant legislation provide for the reintegration of the employees.