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L’impatto dell’emergenza Covid-19 sulla disciplina dei licenziamenti


Tra le misure adottate dal governo italiano con il Decreto Legge n. 18/2020, c.d. “Cura Italia”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 70 il 17 marzo 2020, per fare fronte all’emergenza costituita dalla diffusione del Coronavirus responsabile della malattia COVID-19, vi è l’introduzione di un generale divieto di licenziamento per motivi economici.

Per cercare di contenere la repentina propagazione del nuovo Coronavirus, il legislatore italiano ha, con successivi provvedimenti, dapprima vietato gli spostamenti all’interno e all’esterno della Regione Lombardia e di altre 14 Province (provvedimento successivamente esteso a tutto il Paese) e successivamente disposto la chiusura di tutte le attività commerciali ad eccezione di quelle attinenti la vendita di alimenti e di altri beni di prima necessità.

Si è quindi verificata una drastica riduzione dei consumi che, unitamente alla sospensione delle attività commerciali, impone agli imprenditori di adottare importanti misure organizzative che consentano di affrontare e compensare il calo del fatturato. Tra queste è difficile non ipotizzare il ricorso al licenziamento di parte del personale assunto.

Al fine di scongiurare un massiccio ricorso alla risoluzione dei rapporti di lavoro, è stato quindi introdotto, con l’articolo 46 del Decreto “Cura Italia”, un generale divieto, decorrente dal 17 marzo 2020 e per i successivi 60 giorni, di avviare procedure di licenziamento collettivo e la sospensione delle procedure avviate dopo il 23 febbraio 2020. Per il medesimo periodo di 60 giorni è fatto inoltre divieto a tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati, di intimare licenziamenti individuali per ragioni economiche.

La disciplina dei licenziamenti introdotta dal D.L. n. 18/2020 può quindi essere riassunta come segue.

a) Licenziamenti individuali

Il divieto di licenziamento individuale per motivi oggettivi riconducibili ai casi previsti dall’articolo 3 della legge n. 604/1966 (ossia quelli attinenti ragioni inerenti all’attività produttiva o ragioni inerenti il regolare funzionamento della stessa), ai sensi dell’articolo 46 del D.L. n. 18/2020, vale per tutte le aziende ed è applicabile sia ai dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, sia a quelli assunti successivamente a tale data, non essendo prevista alcuna distinzione in ragione della data di assunzione del personale.

Il tenore letterale della norma sembra, invece, escludere che il divieto possa essere esteso ai dirigenti, il licenziamento dei quali non è riconducibile alla disciplina dell’articolo 3, L. 604/1966. Tuttavia si ritiene consigliabile una valutazione attenta e prudente di ciascuna specifica fattispecie, non potendosi escludere l’evenienza che il dirigente possa in futuro impugnare il provvedimento espulsivo rivendicando l’applicazione delle gravose tutele di cui all’art. 18, comma 1 dello Statuto dei Lavoratori.

Particolare è il caso in cui il datore di lavoro intenda procedere alla risoluzione del contratto dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’articolo 7 della L. n. 604/1966. Qualora il tentativo di conciliazione si sia concluso con un mancato accordo e l’imprenditore intenda quindi formalizzare il licenziamento, tale intimazione è sospesa per il periodo di 60 giorni previsto dalla norma in commento.

Tra le ipotesi di licenziamento tuttora consentite, si ricordano le seguenti.

E’ possibile intimare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, nel caso si verifichino gravi inadempimenti e violazioni disciplinari punibili, ai sensi del CCNL di riferimento, con il provvedimento espulsivo.

Una ipotesi peculiare potrebbe ravvisarsi nel caso in cui un lavoratore, impiegato presso una azienda non colpita dal lockdown imposto dal DPCM dell’11 marzo 2020, non si presenti sul luogo di lavoro per timore di contrarre l’infezione.

Tale assenza, qualora fosse considerata ingiustificata, sarebbe punibile con il licenziamento.

Tuttavia, tale condotta potrebbe essere così qualificata solo nell’ipotesi in cui il datore di lavoro riuscisse a dimostrare di aver apprestato tutte le misure idonee ad escludere, o quantomeno limitare in modo significativo, il rischio di contagio sul luogo di lavoro. In caso contrario, infatti, il lavoratore potrebbe opporsi al recesso datoriale opponendo l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..

L’individuazione delle misure idonee potrebbe essere condotta richiamando le linee guida delineate in data 14 marzo 2020 dal “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” tra le quali si ricordano, in particolare, l’informazione preventiva resa ai lavoratori e il richiamo a non presentarsi sul luogo di lavoro a chi manifesti sintomi del Covid-19 o abbia avuto contatti con persone infette e comunque ove sussistano condizioni di pericolo; il controllo della temperatura corporea all’ingresso; l’adozione di misure di sanificazione periodica dei locali; il lavaggio delle superfici di lavoro e la disposizione dell’obbligo di adottare opportune precauzione igieniche; la messa a disposizione di detergenti e,  qualora il lavoro imponga una distanza interpersonale minore di un metro, il ricorso a mascherine chirurgiche e altri dispositivi di protezione, quali le visiere protettive.

Vale la pena di precisare infine, sempre in tema di licenziamenti disciplinari, che l’eventuale audizione orale richiesta dal lavoratore nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, dovrà avvenire nel pieno rispetto delle medesime misure di prevenzione sopra sommariamente indicate.

Nessuna limitazione sembra essere invece stata imposta alla risoluzione consensuale del rapporto. Occorre tuttavia considerare la maggiore difficoltà nella sottoscrizione dei relativi accordi che l’attuale riduzione degli orari di apertura al pubblico degli Ispettorati del Lavoro può comportare. In proposito si rileva tuttavia che sussiste anche la possibilità di provvedere ad incontri per via telematica.

Il Decreto “Cura Italia” non preclude neppure il recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto ipotesi non compresa tra quelle previste dall’articolo 3 del L. 604/1966.

In proposito si precisa che, sebbene il periodo di quarantena con sorveglianza attiva per coloro che abbiano avuto “contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva” sia “equiparato a malattia” ai fini della fruizione del relativo trattamento economico, tale periodo di isolamento, per espressa previsione di legge, non è invece computabile ai fini del periodo di comporto (si veda l’articolo 26, comma 1 del D.L. n. 18/2020).

Inoltre è ancora consentito il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova in quanto, anche in questo caso, si tratta di ipotesi non contemplata dall’articolo 3 della L. 604/1966 bensì dall’articolo 2096 c.c. A questo proposito non si può, tuttavia, trascurare l’evenienza che la sospensione o la riduzione delle attività produttive, imposta per fare fronte alla situazione di emergenza, possa aver impedito l’esatto o il completo espletamento del periodo di prova.

Sul piano processuale, in forza dell’articolo 83 comma 2 del D.L. del 17 marzo 2020, come modificato dall’articolo 36 del D.L. del 6 aprile 2020 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 94 dell’8 aprile 2020), dal 9 marzo all’11 maggio 2020, è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, quindi anche il termine per il deposito degli atti inerenti procedure giuslavoristiche. Tuttavia, considerando che il licenziamento è soggetto al termine di impugnazione stragiudiziale di 60 giorni e che entro i successivi 180 giorni deve essere depositato il ricorso giudiziale, si ritiene comunque che l’impugnazione stragiudiziale avvenga nei termini di legge, per tutti i tipi di licenziamento.

Vale la pena di precisare che la norma non indica quale regime sanzionatorio sia applicabile al licenziamento comminato in violazione del divieto temporaneo in questione. Si può ritenere che il recesso così intimato possa essere considerato nullo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria (sia per i c.d. vecchi assunti, ai sensi dell’articolo 18, comma 1 della L. n. 300/1970 che per i c.d. nuovi assunti, ai sensi dell’articolo 2 del D.lgs. n. 23/2015), ma vi è anche chi suggerisce di ricondurlo a fattispecie di illegittimità o di considerarlo solo temporaneamente inefficace.

b) Licenziamenti collettivi

Come anticipato, il provvedimento governativo è intervenuto anche sul regime dei licenziamenti collettivi.

In particolare, l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo è sospeso fino al 16 maggio 2020 indipendentemente dalla riconducibilità o meno dell’esubero di personale all’attuale emergenza epidemiologica. Il divieto di dare impulso ai licenziamenti collettivi si estende a tutti i lavoratori occupati presso il datore di lavoro, inclusi i dirigenti, con la sola eccezione dei dipendenti assunti a tempo determinato in quanto non soggetti alle procedure di licenziamento collettivo.

Anche le aziende che, alla data del 24 febbraio 2020, avevano introdotto la procedura di licenziamento collettivo e avevano già raggiunto un accordo sindacale sui criteri da applicare per la scelta del personale in esubero da licenziare, dovranno sospendere la procedura e omettere temporaneamente l’invio delle lettere di licenziamento.

Una condizione peculiare, tuttavia, è quella delle aziende che si troveranno probabilmente a dover scegliere se revocare la procedura già introdotta, qualora un accordo sindacale appaia la soluzione preferibile quale esito della stessa, oppure concordare, con le organizzazioni sindacali, una proroga dei termini della procedura fino alla conclusione del periodo di 60 giorni disposto dal D.L. “Cura Italia”. Sebbene tale sospensione configuri un rinvio dei termini non consentito dalla legge e quindi in astratto idoneo ad integrare un vizio sanzionabile, si ritiene che il contesto emergenziale e la finalità perseguita, di maggior tutela dei lavoratori coinvolti, debbano indurre i Tribunali che si dovessero eventualmente pronunciare in proposito, ad escluderne il carattere di ingiustificatezza ed illegittimità.