Negli ultimi mesi si sono susseguiti diversi interventi normativi in materia di revisione dei prezzi nei contratti pubblici, tutti volti a fronteggiare gli importanti fenomeni inflattivi registrati in conseguenza della nota emergenza sanitaria globale ed acuiti dal conflitto in Ucraina. Gli scenari a disposizione dell’operatore economico sono diversi a seconda si tratti di nuovi affidamenti di lavori, servizi e forniture o di contratti di lavori in corso.
Con riferimento ai nuovi affidamenti (procedure avviate dallo scorso 28 gennaio), l’art. 29 D.L. n. 4/2022 (Decreto “Sostegni ter”), convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2022, ha introdotto una rilevante deroga alle previsioni del vigente Codice dei Contratti Pubblici prevedendo l’obbligo – e non più la facoltà – per le stazioni appaltanti di inserire, sino al 31 dicembre 2023, nei documenti di gara iniziali le clausole di revisione dei prezzi di cui all’articolo 106, co. 1, lett. a) (tale norma stabilisce che i contratti in essere possono essere modificati se le modifiche sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole precise e inequivocabili che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi).
Unicamente in relazione ai nuovi affidamenti di lavori, il D.L. in commento dispone altresì che le variazioni di prezzo dei singoli materiali da costruzione, in aumento o in diminuzione, dovranno essere valutate dalla stazione appaltante solo se risulteranno superiori al 5% rispetto al prezzo rilevato nell’anno di presentazione dell’offerta. In tal caso si procederà a compensazione, in aumento o in diminuzione, per la percentuale eccedente il 5% e comunque in misura pari all’80% dell’eccedenza. L’Istat dovrà definire un nuovo sistema di rilevazione dei prezzi dei materiali edili e successivamente il MIMS, il 31 marzo e il 30 settembre di ogni anno, stabilirà le variazioni effettive dei singoli materiali individuati dall’Istat. Sul punto, in sede di conversione del D.L., purtroppo, non sono state accolte le sollecitazioni dell’ANAC tese ad estendere anche ai servizi e alle forniture l’individuazione normativa della percentuale di scostamento e la disciplina sulle compensazioni previste per i lavori. Pertanto, per tali contratti le variazioni dei prezzi e le modalità di compensazione non potranno appoggiarsi a meccanismi trasparenti, determinati dalla legge, e a dati ministeriali. Ciò aumenterà il rischio di condotte arbitrarie, o che le gare vadano deserte, o che la prestazione contrattuale non possa essere adempiuta.
Due rilevanti disposizioni in tema di revisione dei prezzi sono state introdotte con la legge di conversione del Decreto Sostegni Ter. Il nuovo comma 11 bis dell’art. 29 prevede, con riferimento agli accordi quadro di lavori già aggiudicati o efficaci alla data di entrata in vigore della legge di conversione, che le stazioni appaltanti, fermo restando il ribasso formulato in sede d’offerta dall’impresa aggiudicataria, possano affidare i lavori specifici oggetto dell’accordo quadro, applicando i prezzi medio tempore aggiornati. Pertanto, non dovranno più essere applicati necessariamente i prezzi, eventualmente obsoleti, considerati in sede di gara.
Il comma 13 bis dell’art. 29 stabilisce che, nelle ipotesi in cui sia obbligatoria la costituzione del collegio consultivo tecnico di cui all’art. 6 D.L. 76/2020 (ovvero nelle ipotesi di contratti di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 D.Lgs. 50/2016), lo stesso non possa essere sciolto prima del 30 giugno 2023. Pertanto, nell’ambito del collegio consultivo tecnico potranno trovare esame, ed eventualmente soluzione, anche le istanze dell’appaltatore connesse all’aumento dei prezzi.
Con riferimento ai contratti pubblici di lavori in corso, l’art. 25 D.L. 17/2022 (Decreto “Energia”), ha disposto l’incremento di 150 milioni di euro del Fondo per l’adeguamento dei prezzi introdotto dall’art. 1-septies D.L. 73/2021 (Decreto “Sostegni bis”), inizialmente previsto per i soli lavori eseguiti e contabilizzati nel primo semestre 2021, successivamente esteso dalla L. 234/2021 anche al secondo semestre 2021. La nuova disciplina compensativa si applica ai contratti in corso di esecuzione al 2 marzo 2022. A tal fine, entro il 30 settembre 2022, il MIMS dovrà rilevare con proprio DM l’elenco dei materiali da costruzione più significativi e le relative variazioni percentuali di prezzo verificatesi nel primo semestre dell’anno, superiori all’8%. La compensazione: (i) trova applicazione con riferimento alle lavorazioni eseguite e contabilizzate, ovvero annotate sotto la responsabilità del direttore lavori nel libretto delle misure, dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2022; (ii) trova applicazione, anche in deroga a quanto previsto dall’art. 133 D.Lgs. 163/2006 e dall’art. 106, co. 1 lett. a), D.Lgs. 50/2016, al netto delle compensazioni già riconosciute o liquidate in relazione al primo semestre 2022; (iii) è determinata applicando, alla quantità di materiali impiegati nelle lavorazioni, le variazioni dei relativi prezzi – in aumento o in diminuzione – rilevate dal MIMS, eccedenti l’8% per le offerte riferite all’anno 2022, e il 10% complessivo se riferite a più anni.
Infine, sempre con riferimento ai contratti di lavori in corso, l’art. 23 D.L. 21/2022 (Decreto “Ucraina bis”) prevede che, in relazione alle domande di accesso al Fondo per l’adeguamento dei prezzi di cui all’art. 1-septies D.L. 73/2021, il MIMS possa riconoscere alla stazione appaltante un’anticipazione del 50% dell’importo richiesto nell’istanza di compensazione di un’impresa appaltatrice, già nelle more dell’attività istruttoria relativa a tale istanza, salvo verifiche. Sarà possibile ottenere tale anticipazione nei limiti del 50% delle risorse disponibili del Fondo stesso, la cui dotazione finanziaria è stata all’uopo incrementata di 120 milioni di euro.
Il Decreto ha disposto altresì l’incremento di 200 milioni di euro della dotazione finanziaria del Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche di cui al D.L. 76/2020. Quest’ultimo previsto al fine di garantire la regolare e tempestiva prosecuzione dei lavori per la realizzazione di opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 D.Lgs. 50/2016.
Anche alla luce degli interventi normativi descritti, emerge che le stazioni appaltanti dovranno necessariamente collaborare con gli operatori economici al fine di conservare l’equilibrio del sinallagma contrattuale ed evitare che l’attuale e imprevedibile incremento dei prezzi possa determinare un blocco nelle commesse pubbliche.
La notevole entità dei fenomeni inflattivi causati da due anni di pandemia e dalla recente guerra in Ucraina rileva, inevitabilmente, anche nell’ambito dei contratti d’appalto tra privati.
La possibilità di ottenere una revisione dei prezzi nell’ambito dell’appalto privato è stata già prevista dal legislatore all’art. 1664 c.c., rubricato “Onerosità o difficoltà nell’esecuzione”, il cui primo comma prevede che nel caso in cui per effetto di circostanze imprevedibili il costo dei materiali aumenti (o diminuisca), così determinando un incremento (o una diminuzione) del prezzo pattuito per un valore superiore al 10%, l’appaltatore può chiedere una revisione del prezzo, che può essere accordata solo per la differenza che eccede il 10%.
In forza di tale norma, applicabile anche all’appalto di servizi, la revisione dei prezzi può essere determinata da una variazione dei costi dovuta alle sole cause estranee ai contraenti.
Tale variazione da accertarsi con riferimento ai prezzari che abbiano caratteri di ufficialità (quali rilevazioni periodicamente pubblicate dalle Camere di Commercio, rilevazioni Istat, indici delle principali borse merci e materie prime), deve essere provata mediante documentazione idonea a dimostrare che – tra la data di stipula del contratto e quella di consegna pattuita – il costo delle materie prime e/o comunque dei fattori della produzione necessari per la realizzazione dell’opera abbiano subito un imprevedibile incremento, pari appunto a oltre il 10% rispetto al costo rilevabile al momento della stipula del contratto, tale da determinare un corrispondente aumento del prezzo dell’opera. Nei casi in cui non sia possibile determinare in modo certo tale incremento, le parti potranno nominare un soggetto terzo affinché renda una consulenza in merito all’andamento dei prezzi.
Pertanto, dal momento che l’esecuzione dei rapporti contrattuali deve essere ispirata ai principi di buona fede e correttezza, nel caso in cui dopo la stipula del contratto e durante l’esecuzione dello stesso si sia verificato un aumento dei costi a carico dell’appaltatore, lo stesso potrà richiedere all’altra parte, in un’ottica di rinegoziazione del contratto volta a garantire il mantenimento dell’equilibrio tra le posizioni delle parti e a condizione che nel contratto non sia stata prevista l’invariabilità del prezzo, una revisione dello stesso in aumento (per la differenza eccedente il 10% di quello pattuito). Sul compenso revisionale, divenuto esigibile solo ad opera o servizio ultimati senza che l’appaltatore maturi un diritto alla corresponsione di acconti in corso di contratto, decorrono gli interessi compensativi ex art. 1282, 1° co., senza necessità di costituzione in mora e il relativo diritto si prescrive nel termine decennale.
Gli appaltatori che sono invece in procinto di firmare un contratto possono tutelarsi inserendo nel contratto una clausola che li metta al riparo da eventuali aumenti. L’art. 1664 c.c. è una norma disponibile, nel senso che le parti possono fissare un diverso limite di aumento (oltre ovviamente ad escludere dalla revisione l’aumento del costo di talune prestazioni oppure pattuire l’invariabilità del corrispettivo).