GENDER PAY GAP – LA SITUAZIONE GENERALE
Oggi in Italia le donne guadagnano il 5% in meno degli uomini per ogni ora lavorata[1]. Considerando il solo settore privato, in relazione alle ore lavorate, il divario retributivo medio di genere (o gender pay gap) sale al 24%[2] e si amplia ulteriormente con l’aumentare delle competenze e delle specializzazioni: è pari al 33% tra i laureati contro il 10% dei non laureati[3].
Secondo le recenti statistiche Istat[4], la differenza di retribuzione oraria tra uomini e donne aumenta all’aumentare del livello retributivo: il valore del primo decile per le posizioni ricoperte dalle donne è inferiore di circa il 6% rispetto a quello degli uomini, e il divario sale al 12% per l’ultimo scaglione della scala: a parità di inquadramento contrattuale, le donne sono pagate meno dei colleghi uomini.
IL QUADRO EUROPEO
Il diritto alla parità retributiva di genere è uno tra i principi fondamentali del Trattato di Roma, sancito all’articolo 119[5] .L’art. 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede che l’Unione Europea adotti misure volte ad assicurare l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[6].
Molti sono stati, negli anni, gli interventi a livello europeo al fine di ribadire questo principio fondamentale e garantirne una corretta attuazione[7]. Tra gli interventi più rilevanti ricordiamo la Direttiva 2006/54/CE, nota anche come “Direttiva Rifusa”, recante la disciplina di attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego[8].
La “Direttiva Rifusa” del 2006 venne successivamente integrata nel 2014 dalla raccomandazione della Commissione sulla trasparenza retributiva. Quest’ultima raccomandazione mise a fuoco come eliminare il fenomeno dell’assenza di trasparenza delle condizioni di remunerazione sia l’unico modo per applicare efficacemente il principio della parità retributiva delle categorie salariali, individuando alcuni strumenti chiave per rendere effettiva la normativa in principio, ossia:
Nonostante questo quadro giuridico, l’effettiva attuazione e applicazione dei principi individuati, nella pratica, continua a rappresentare una sfida per l’Unione Europea[9]: a livello europeo il gender pay gap continua ad attestarsi intorno al 14%, con importanti ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, esponendole a un maggiore rischio di povertà e ad una minore capacità di risparmio delle donne verso gli uomini, nonché alimentando il pension pay gap, che è pari al 33%[10].
Sulla spinta del Parlamento europeo e del Consiglio, che nel giugno 2019 ha chiesto alla Commissione di elaborare misure concrete per migliorare la trasparenza retributiva, sono stati elaborati i venti principi del pilastro europeo dei diritti sociali[11]. Uno dei pilastri identificati per favorire “un’Unione dell’uguaglianza, che sia equa, inclusiva e ricca di opportunità”, è proprio quello della parità di genere, oggetto della “Strategia per la parità di genere 2020-2025”[12].
LA PROPOSTA DI DIRETTIVA SUL RAFFORZAMENTO DEL PRINCIPIO DELLA PARITA’ RETRIBUTIVA TRA DONNE E UOMINI
È proprio nel più ampio contesto delle misure e iniziative europee volte ad affrontare e rimuovere le cause profonde del divario retributivo di genere e a favorire l’emancipazione economica femminile che si inserisce la “Proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi” della Commissione Europea del 4 marzo 2021[13], attualmente sottoposta all’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo[14]. Tale proposta di direttiva è volta a rafforzare nelle società operanti nei paesi europei l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[15], nonché la trasparenza delle retribuzioni, già prima dell’assunzione[16] e nel corso del rapporto di lavoro[17]. La trasparenza retributiva, nelle sue varie declinazioni anche temporali, è funzionale all’individuazione da parte dei lavoratori di possibili discriminazioni basate sul genere.
La proposta di direttiva prevede l’introduzione da parte degli Stati membri di misure giudiziali e stragiudiziali facilmente accessibili ai lavoratori che si ritengano lesi dalla mancata applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, per ottenere il risarcimento del danno[18] e prevedendo l’onere della prova a carico del datore di lavoro convenuto in giudizio.
L’iniziativa, peraltro, rileva e si propone di affrontare anche un aspetto più sottile del gender pay gap, il cosiddetto divario retributivo di genere “inspiegabile”, ovvero disparità retributive discriminatorie basate sul genere che sono involontarie e inconsce e che il datore di lavoro può superare proprio attraverso lo strumento della trasparenza retributiva.
In conclusione la proposta di direttiva potrebbe rispondere alle criticità emerse stabilendo norme in materia di trasparenza retributiva per consentire alle lavoratrici di rivendicare i propri diritti grazie ad una maggiore trasparenza all’interno delle organizzazioni, agevolando la definizione e l’applicazione dei concetti chiave della parità retributiva, quali quelli di “retribuzione” e “lavoro di pari valore”, rafforzando contestualmente i meccanismi, anche di carattere giudiziale, di applicazione.
LEGISLAZIONE ITALIANA SUL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE
La prima fonte legislativa nazionale che prevede disposizioni antidiscriminatorie basate sul genere è la Costituzione italiana. L’articolo 3 della Costituzione afferma che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
In virtù di questa disposizione generale nei rapporti di lavoro si applica il principio costituzionale dell’uguaglianza professionale tra i lavoratori, che vieta ai datori di lavoro di operare discriminazioni (dirette o indirette) nello svolgimento delle attività lavorative.
L’articolo 37 della Costituzione è volto a fornire specifiche garanzie: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […]”. Questa disposizione costituzionale ha reso possibile l’adozione di una legislazione volta ad affermare la piena uguaglianza formale tra lavoratori e lavoratrici.
In particolare, ai sensi del Decreto Legislativo 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) è vietata qualsiasi discriminazione di genere in materia di:
L’ATTUALE SITUAZIONE DEL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE NEI VARI SETTORI IN ITALIA[19]
Il divario retributivo di genere nel settore manifatturiero è del 13,2%.
Molte aziende del settore metalmeccanico hanno avviato progetti di inserimento di personale femminile nelle figure professionali previste dai nuovi modelli organizzativi, per aumentare la presenza femminile nelle posizioni tecniche.
Inoltre, il CCNL Industria Metalmeccanica 5.2.2021 prevede che nelle aziende con più di 1.000 dipendenti, di cui almeno 300 occupati nella stessa unità produttiva, può essere istituita, su richiesta di una delle parti, una “Commissione paritetica per le pari opportunità”, composta da non più di 3 membri rispettivamente in rappresentanza della direzione e della rappresentanza sindacale unitaria. Tale Commissione ha la facoltà di valutare le iniziative e le azioni per promuovere comportamenti coerenti con i principi di pari opportunità nei luoghi di lavoro; facilitare il reinserimento delle lavoratrici dopo il congedo di maternità; promuovere l’occupazione femminile in ruoli legati alle nuove tecnologie; prevenire forme di molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Esamina inoltre eventuali controversie sull’applicazione dei principi di parità. La Commissione aziendale si aggiunge alla Commissione nazionale e alle Commissioni territoriali la cui costituzione è prevista sempre dalla medesima disposizione del CCNL.
Si noti che, al momento, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro non contiene alcun riferimento specifico al gender pay gap.
Il divario retributivo di genere nel settore dei servizi finanziari è del 26,4%[21].
Molte aziende del settore creditizio hanno avviato progetti volti a favorire l’avanzamento delle donne nelle posizioni di vertice.
In questo settore possono essere istituite commissioni aziendali miste per l’esame e la valutazione congiunta del tema delle pari opportunità. Lo scopo principale di queste commissioni è quello di pianificare azioni positive con l’obiettivo di valorizzare le risorse femminili ed eliminare le differenze di trattamento.
Il divario retributivo di genere nel settore dell’informazione e della comunicazione è del 14,8%.
In questo settore, il CCNL Telecomunicazioni 12.11.2020 ha previsto la costituzione di un Forum nazionale cui partecipano le segreterie nazionali delle OO.SS. e gli organi direttivi delle associazioni datoriali firmatarie del contratto. Tale Forum, che si tiene una volta all’anno, costituisce la sede di analisi, verifica, confronto e proposta tra le parti su una serie di temi, tra i quali figura anche la materia delle pari opportunità. Inoltre, in
relazione ai temi trattati dal Forum, vengono costituiti specifiche commissioni paritetiche di approfondimento, studio, ricerca e proposta, a livello di settore, sulle tematiche di competenza.
Il divario retributivo di genere nel settore dell’elettricità e del gas è dell’11%.
In questo settore, il divario di genere non è elevato, ma la presenza delle donne è inferiore a quella degli uomini (la presenza femminile è inferiore al 15%).
Purtroppo, va sottolineato che attualmente non esistono iniziative specifiche per compensare questo divario.
Il CCNL Energia e Petrolio 21.7.2022 prevede la costituzione, entro il mese di gennaio 2023, di un Osservatorio Nazionale di Settore che avrà il compito di svolgere attività di consulenza e supporto nell’elaborazione e attuazione di politiche per la parità di genere, nonché attività di ricerca e monitoraggio sulle condizioni della parità di genere all’interno delle aziende del settore, individuando e proponendo best practice, valorizzando la formazione, la conoscenza e la cultura delle pari opportunità, anche in materia di parità salariale. Inoltre, la disposizione contrattuale prevede che le aziende del settore si impegnano ad inviare all’Osservatorio il consuntivo delle attività legate a iniziative di promozione della cultura delle pari opportunità effettuate nell’anno precedente, elementi che consentiranno di monitorare e valutare l’andamento del settore in riferimento a tale tematica.
LA REMUNERAZIONE NEGLI ORGANI SOCIALI DELLE SOCIETÀ QUOTATE E NELLE SOCIETA’ DI MAGGIORI DIMENSIONI
Per le società quotate è prevista una normativa sull’equilibrio di genere, contenuta nella legge n. 160/2019 che ha stabilito la quota (da applicarsi ai sei rinnovi a partire dal 2020) nella misura dei due quinti dell’organo amministrativo, più elevata rispetto a quella di un terzo prevista dalla Legge Golfo-Mosca (Legge n. 120/2011, applicabile ai tre rinnovi successivi all’agosto 2012). A fine 2021, la maggior parte degli emittenti ha applicato la quota di genere dei due quinti: in particolare, si contano 131 società, nel cui organo amministrativo siedono in media 4 donne che rappresentano quasi il 44% del board[22].
Oltre alle norme a tutela della rappresentazione di entrambi i generi all’interno degli organi sociali delle società quotate, l’art. 123-ter del D.Lgs. 58/1998 prevede che le società quotate redigano una relazione sulla remunerazione, messa a disposizione del pubblico presso la sede sociale, sul sito internet o con le altre modalità previste dall’Autorità competente (CONSOB). Tale relazione deve illustrare la politica della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche con riferimento almeno all’esercizio successivo; deve inoltre contenere le procedure per l’adozione e l’attuazione di tali politiche.
Per quanto riguarda invece tutte le grandi imprese con più di cinquecento dipendenti e con un valore dell’attivo superiore a venti milioni di euro o con ricavi netti totali superiori a quaranta milioni di euro, il Decreto Legislativo n. 254/2016, emanato nell’ottica della sostenibilità d’impresa, ha imposto a tali imprese di predisporre un documento di politica non finanziaria. Tale documento deve indicare anche gli aspetti sociali e di gestione del personale, comprese le azioni intraprese per garantire la parità di genere.
Altre imprese di minori dimensioni possono redigere dichiarazioni volontarie di natura non finanziaria in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 254/2016.
A livello europeo preme segnalare che, il 23 novembre 2022, il Parlamento ha adottato in via definitiva, a dieci anni dalla presentazione della proposta, la direttiva sull’equilibrio di genere nelle società quotate (c.d. “Women on Boards”)[23].
Le misure contenute nella direttiva saranno applicabili a tutte le grandi società quotate nell’Unione europea, ma non alle piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti e comporteranno, entro la fine di giugno 2026, l’adozione di misure per incrementare la presenza delle donne nelle posizioni apicali.
L’obiettivo è che, entro tale data, il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi o il 33% di tutti i posti di amministratore vengano occupati dal sesso sottorappresentato.
Le nomine dovranno essere effettuate sulla base di criteri chiari e neutrali e, nel caso di candidati con pari qualifiche, dovrà preferirsi il candidato appartenente al genere sottorappresentato.
Non sono previste disposizioni a tutela della parità retributiva di genere in seno agli organi sociali, acuita dal fatto che le consigliere rivestono raramente il ruolo di amministratore delegato, al quale di norma corrisponde una remunerazione più elevata.
LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE E LA NUOVA LEGGE SULLA PARITÀ REMUNERATIVA
In pieno accordo con le raccomandazioni europee e con lo straordinario contesto emergenziale dovuto alla pandemia, il Governo italiano ha deciso di redigere un documento programmatico denominato “Strategia Nazionale per il raggiungimento della parità di genere”, pubblicata nel luglio 2021. La Strategia agisce in un orizzonte temporale a cinque anni ed intende produrre cambiamenti di natura strutturale e duratura.
A tal fine sono stati identificati alcuni ambiti chiave di intervento e, tra questi, il reddito è una priorità strategica.
Vi sono iniziative volte a:
Coerentemente, a pochi mesi di distanza dalla pubblicazione della Strategia, è stata approvata la legge numero 162 del 5 novembre 2021, che modifica alcune disposizioni del Codice delle pari opportunità adottato nel 2006 e altre disposizioni sul divario di genere in ambito lavorativo.
Il testo si propone di contrastare il divario retributivo di genere sia attraverso misure premiali per le aziende che rimuovono le discriminazioni, sia attraverso l’adozione di una serie di misure per facilitare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (ad esempio, aumentando l’indennità per i congedi parentali, le ferie solidali o la creazione di asili nido aziendali) sancendo, all’articolo 28, il principio per cui “è vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale”.
La legge in esame agisce su due direttrici: in primo luogo vengono definite ed aggiornate a livello normativo alcune definizioni chiave, ampliando le fattispecie della discriminazione diretta ed indiretta anche a tutela dei candidati in fase di selezione del personale e riportando nell’alveo della discriminazione indiretta, per la quale si intende quella serie di comportamenti apparentemente neutri che possono però costituire una difficoltà per le donne, “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché’ di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
Contestualmente sono istituiti sistemi di controllo interni ed esterni, con relativi meccanismi premiali e sanzionatori, come di seguito indicati:
La relazione deve essere trasmessa alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera o al consigliere di parità regionale, che ne elabora i risultati e li trasmette alla consigliera o consigliere di parità nazionale, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tale obbligo è scortato anche da un relativo apparato sanzionatorio che consiste, in caso di mancata redazione del rapporto, nella sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda e, in caso di rapporto incompleto o mendace, nell’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro;
È indubbio che le innovazioni normative introdotte sia a livello eurounitario sia a livello nazionale siano necessari agenti di cambiamento verso una società più equa e che rappresentino strumenti preziosi di contrasto alla discriminazione retributiva di genere in ambito lavorativo ed un punto di svolta verso una effettiva ed equa parità di genere.