Premessa
Le misure di contenimento adottate dal Governo in conseguenza del propagarsi dell’epidemia di COVID-19 e, in particolare, la chiusura forzata della quasi totalità degli esercizi commerciali e di moltissime aziende produttive (c.d. lockdown) stanno esponendo il tessuto imprenditoriale italiano al serio rischio di non poter far fronte alle proprie obbligazioni, rendendo quantomeno plausibile lo scenario di un’insolvenza di massa. Proprio al fine di mitigare tale rischio, il Governo ha emanato dei provvedimenti d’urgenza a sostegno della liquidità delle imprese, dapprima con il D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (“Decreto Cura Italia”) e successivamente con il D.L. 8 aprile 2020 n. 23 (“Decreto Liquidità”).
Tra le misure introdotte (per una trattazione più analitica si rimanda a “COVID-19: rassegna della normativa nel settore bancario-finanziario”) potrebbe assumere una cruciale importanza la moratoria di prestiti e mutui concessi alle piccole, medie e microimprese, che rappresenta un sostegno al tessuto imprenditoriale del Paese ma che, al contempo, così come formulata, sconta alcuni limiti tali da comprometterne in parte l’efficacia. Di seguito si cercherà di capirne il perché.
1. La moratoria introdotta dal Decreto Cura Italia e l’Accordo ABI
Moratoria prestiti e mutui per le PMI (Art. 56 del Decreto Cura Italia – Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19)
Le piccole, medie e microimprese (di seguito le “PMI”)[1] che presenteranno un’autocertificazione con cui attestino di aver subito una carenza temporanea di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19, potranno sospendere fino al 30 settembre 2020, senza nuovi o maggiori oneri, le scadenze per il pagamento di (i) rate di prestiti e mutui; (ii) canoni di leasing; (iii) prestiti non rateizzati. È facoltà delle imprese richiedere la sospensione dei soli rimborsi in conto capitale. Eventuali elementi accessori al contratto di finanziamento (quali garanzie, assicurazioni e contratti in derivati) sono prorogati coerentemente senza formalità.
A tali imprese non potranno inoltre essere revocati fino al 30 settembre 2020 i finanziamenti accordati a fronte di anticipi su crediti e le linee di credito concesse sino a revoca.
A tal fine, i soggetti finanziatori saranno ammessi, senza valutazione, ad una garanzia speciale del Fondo di garanzia per le PMI (di cui all’art. 2, comma 100, lett. a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662), a sostegno dei menzionati benefici, pari al 33%, che ha ad oggi una dotazione di Euro 1.730 milioni.
Si precisa che sono ammesse alla presente misura esclusivamente le PMI le cui esposizioni debitorie, alla data di pubblicazione del Decreto Cura Italia, non siano classificate come “esposizioni creditizie deteriorate” ai sensi della disciplina applicabile agli intermediari creditori (assenza di segnalazioni effettuate dagli intermediari nella Centrale Rischi).
Al riguardo, è opportuno aggiungere che la sospensione dei rimborsi in adesione alle misure in questione non implica alcuna automatica variazione nella classificazione delle esposizioni debitorie, salvo che durante il periodo di moratoria sussistano degli “elementi oggettivi nuovi” tali da indurre l’intermediario a rivedere il proprio giudizio sulla qualità creditizia del debitore. La sospensione dei rimborsi non comporta pertanto segnalazioni come “eventi negativi di mancato pagamento”, anche se verranno comunque riportate sul Sistema di Informazioni Creditizie (SIC).
Con propria Comunicazione del 23 marzo 2020, la Banca d’Italia ha infatti precisato che gli intermediari – nell’ambito delle segnalazioni alla Centrale Rischi – dovranno tenere conto delle previsioni contenute nel citato art. 56 e che “il soggetto finanziato non potrà essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato”.
Sul tema delle segnalazioni in Centrale Rischi, di grande rilevanza operativa, si rimanda a “Moratorie “Cura Italia” e Centrale Rischi – Comunicazione della Banca d’Italia del 23 marzo 2020.”.
Addendum all’Accordo ABI per il Credito del 2019
Proseguendo un percorso di collaborazione tra banche e imprese iniziato con l’Accordo per il Credito 2015, nel novembre 2018, l’ABI e le Associazioni di rappresentanza delle imprese hanno sottoscritto l’Accordo per il Credito 2019 che prevedeva, in relazione alle PMI, la possibilità per le banche e gli intermediari finanziari aderenti di (i) sospendere fino a un anno il pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti; (ii) allungare la scadenza dei finanziamenti (per le operazioni di allungamento dei mutui, il periodo massimo di estensione della scadenza del finanziamento può arrivare fino al 100% della durata residua dell’ammortamento).
In data 6 marzo 2020, il suddetto accordo è stato modificato al fine di permettere alle imprese danneggiate dall’emergenza COVID-19 di usufruire della moratoria per tutti i finanziamenti in essere al 31 gennaio 2020. Si prevede, inoltre, che le banche, ove possibile, offrano condizioni migliorative rispetto a quelle esplicitamente previste dall’accordo.
Tale misura consente altresì alla banca che se ne avvale di non dover qualificare il credito come deteriorato e di dover conseguentemente prevedere i relativi accantonamenti previsti dalla legge.
L’Addendum, al quale aderiscono il 90% delle banche in tutta Italia, è immediatamente operativo.
La Banca d’Italia ha precisato che i criteri di segnalazione previsti per la precedente misura dovranno essere seguiti anche in relazione ad altre previsioni di legge, ad accordi o protocolli d’intesa che prevedano l’impossibilità di revocare finanziamenti o il beneficio della sospensione dei pagamenti relativi a finanziamenti oggetto di segnalazione alla Centrale Rischi (come appunto l’Addendum ABI).
2. I limiti strutturali della moratoria introdotta dal Decreto Cura Italia.
La misura sinora descritta, sebbene preveda una forma di protezione e sostegno a nostro avviso oggi essenziale per il tessuto imprenditoriale in difficoltà, sconta, come poc’anzi anticipato, numerosi limiti, sia soggettivi che oggettivi.
Il primo e più immediato limite è che la moratoria sui finanziamenti in essere è rivolta solo alle PMI e tra esse solo alle imprese le cui esposizioni debitorie, alla data di pubblicazione del Decreto Cura Italia, non siano classificate come “esposizioni creditizie deteriorate”.
Da un lato, quindi, tutte le aziende di dimensioni maggiori che, comunque, necessitino di una sospensione temporanea dei pagamenti, non hanno alcuna certezza di ottenere il beneficio, dato che, nel loro caso, la richiesta deve essere fatta secondo gli strumenti ordinari e i finanziatori non sono vincolati a concedere la sospensione.
Dall’altro, pur essendo comprensibile l’esigenza di canalizzare le risorse disponibili sui soggetti effettivamente in grado di reggere l’onda d’urto della crisi, il rischio concreto è quello di escludere da ogni forma di sostegno imprese sì fragili, ma che, prima dell’emergenza COVID-19, erano ancora in grado di operare sul mercato e di gestire le tensioni finanziarie, ivi incluse le imprese oggetto di ristrutturazione del debito cui consegue la classificazione del credito come deteriorato.
Le disposizioni attinenti alla moratoria presentano, inoltre, due ulteriori limiti di rilievo.
In primo luogo, la norma nulla dispone con riferimento a tutte le pattuizioni accessorie rispetto all’obbligazione di rimborso che la prassi negoziale introduce nei contratti di finanziamento, primi tra tutti i c.d. covenant finanziari.
È noto, infatti, che nella prassi negoziale e soprattutto nei contratti di finanziamento a medio/lungo termine, all’obbligazione principale di rimborso di capitale e interessi si accompagnano numerose obbligazioni accessorie a carico del debitore, che spaziano da obblighi di fare/non fare (es. non concedere garanzie reali per non compromettere la garanzia patrimoniale generica; non intraprendere operazioni straordinarie ecc.) all’impegno a rispettare taluni parametri economico/finanziari. Nella prassi contrattuale, al mancato rispetto di tali obblighi accessori consegue il diritto del finanziatore di esercitare rimedi assai incisivi quali dichiarare la risoluzione ex art. 1456 c.c., recedere o dichiarare la decadenza del debitore dal beneficio del termine (quasi sempre con ampia facoltà di scelta del rimedio per ciascuna delle violazioni).
Pur nel silenzio della decretazione d’urgenza adottata nelle ultime settimane su questo specifico aspetto, in considerazione del generale dovere di eseguire il contratto secondo buona fede, nonché della disposizione di cui all’art. 91 del Decreto Cura Italia, si può ragionevolmente ritenere che in caso di moratoria ai sensi dell’art. 56 del medesimo decreto agli istituti di credito sia parimenti inibito il diritto di esercitare i rimedi connessi al mancato rispetto di pattuizioni accessorie, quali verosimilmente i covenant finanziari, nei confronti dei debitori che beneficino della moratoria, quantomeno con riferimento alle situazioni in cui il mancato rispetto derivi dall’emergenza COVID-19 e per il periodo di tempo in cui la moratoria è in vigore.
Diversamente, a nostro avviso, qualora i rimedi sopra descritti rimanessero utilizzabili, la moratoria verrebbe sostanzialmente privata del suo effetto protettivo a favore del debitore, essendo probabile – per non dire certo – che i debitori impossibilitati ad eseguire i rimborsi dovuti si troveranno altrettanto impossibilitati a rispettare numerose obbligazioni accessorie, primi tra tutti i covenant finanziari.
In secondo luogo, il Decreto Cura Italia nulla dispone con riguardo all’erogazione di finanziamenti già accordati, ma non ancora erogati, di regola contrattualmente subordinata all’avveramento di condizioni sospensive tra cui la conferma della veridicità delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dalla società beneficiaria alla banca nonché l’assenza di eventi che pregiudichino o possano pregiudicare la capacità della beneficiaria di adempiere alle obbligazioni derivanti dal contratto di finanziamento.
È chiaro che, nello scenario inedito in cui si versa, difficilmente i beneficiari di finanziamenti ancora da erogare saranno in condizione di rilasciare le dichiarazioni previste o attestare l’assenza di eventi rilevanti attuali o potenziali[2], il che precluderebbe l’erogazione di linee già accordate e, dunque, un’ulteriore restrizione dell’accesso al credito in un momento in cui tale accesso può determinare la sopravvivenza stessa dell’impresa.
Sotto questo profilo, riteniamo auspicabile un ulteriore intervento del legislatore. Nelle more, è opportuno sottolineare che gli istituti di credito dovranno agire con particolare cautela per evitare, da un lato, posizioni troppo rigide che rischierebbero di innescare una spirale negativa tale da spingere il debitore in una crisi irreversibile e, dall’altro, per evitare il sorgere di contenziosi e incorrere in responsabilità.
3. Le opzioni a disposizione dei soggetti che non beneficiano della moratoria e le conseguenze dell’eventuale mancato rispetto degli obblighi derivanti dai contratti di finanziamento.
Alla luce di quanto sin qui esposto è prevedibile che un elevato numero di imprese non potrà beneficiare della moratoria introdotta sin qui dal Governo.
Il mancato accesso allo strumento della moratoria sui finanziamenti in corso pone, dunque, il delicato tema di come le imprese possano ottenere un beneficio analogo e di quali siano le conseguenze in caso di mancato rispetto degli obblighi di rimborso e delle pattuizioni accessorie dei contratti di finanziamento nei casi in cui non sia stato possibile ottenere una moratoria.
L’obbligazione principale di pagamento
Con riferimento all’obbligazione principale di rimborso, appare difficile ritenere invocabili i rimedi ordinari contemplati dal nostro ordinamento quali l’impossibilità o l’eccessiva onerosità sopravvenuta, che mal si adattano alle obbligazioni di rimborso di un debito finanziario (per altre fattispecie contrattuali alle quali invece tali rimedi si adattano, si veda invece “Gli effetti del COVID-19 sull’adempimento dei contratti”.
La sola via percorribile appare, dunque, la rinegoziazione delle proprie obbligazioni con i creditori finanziari, che dovrà essere gestita nell’ambito degli strumenti già previsti dall’ordinamento fatto salvo l’ausilio della disposizione di cui all’art. 91 del Decreto Cura Italia.
Tra gli strumenti disponibili, è senz’altro opportuno ricordare l’accordo di moratoria con i creditori finanziari di cui all’art. 182 septies quinto comma L.F., che consente al debitore di estendere l’efficacia della moratoria anche ai creditori finanziari non aderenti a condizioni che l’accordo sia concluso con almeno tanti creditori finanziari che rappresentino almeno il 75% dell’esposizione debitoria di natura finanziaria del debitore. Per i debitori esclusi non sarà, invece, possibile attivare lo strumento della convenzione di moratoria previsto dall’art. 62 del nuovo Codice della Crisi d’Impresa (non del tutto coincidente con lo strumento di cui all’attuale legge fallimentare: in proposito, si rimanda a “How to freeze a sudden financial crisis”) atteso che la scelta del Legislatore è stata quella di posticipare l’entrata in vigore della riforma al 1 settembre 2021 (art. 5 del Decreto Liquidità).
Dal punto di vista operativo, si ritiene opportuno che il debitore che non abbia sufficiente liquidità per effettuare i rimborsi del capitale e/o il pagamento degli interessi o che, pur disponendo di tale liquidità, ritenga irrimediabilmente indispensabile impiegarla per altri pagamenti necessari per la tutela della continuità aziendale e/o dell’effettiva possibilità di riattivare l’azienda al termine del lockdown, comunichi tempestivamente tale situazione alle banche finanziatrici e richieda formalmente la concessione di una moratoria e, se del caso, una modifica del piano di ammortamento in essere. Si agirebbe, in tal modo, secondo correttezza e buona fede.
Al riguardo, è ragionevole ritenere, infatti, che l’obbligo di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) si debba concretare in uno speculare obbligo a carico del creditore finanziario di rinegoziare il contratto tenendo conto delle circostanze di forza maggiore intervenute e del loro effettivo impatto sulla (temporanea) capacità di adempiere del debitore e che un ingiustificato rifiuto del creditore a prestarsi alla rinegoziazione possa, a determinate condizioni, legittimare un’eccezione di inadempimento da parte del debitore con conseguente sospensione del pagamento.
In proposito, è opportuno specificare che la richiesta di moratoria o di rinegoziazione si potrà ritenere legittima se motivata dall’impatto negativo della pandemia di COVID-19 sull’attività aziendale e a condizione che il contenuto della richiesta sia proporzionale e idoneo allo scopo di consentire al debitore di ristabilire una situazione di equilibrio tale da consentirgli di tornare ad adempiere alle proprie obbligazioni, senza ulteriori vantaggi a discapito del creditore (es. sospensione del rimborso per 6/12 mesi, “slittamento” in avanti del piano di ammortamento ecc.).[3]
Sebbene la rinegoziazione del contratto e la ristrutturazione del debito in accordo con i principi generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto siano gli strumenti che verranno auspicabilmente adottati, si pone il ragionevole dubbio che alcuni situazioni specifiche sfuggano alla loro applicazione per questioni legate alla solvibilità del singolo debitore per motivi differenti da o precedenti all’emergenza sanitaria e/o che tali soluzioni non siano ritenute convenienti dalla parte finanziatrice.
È chiaro, infatti, che la rinegoziazione del contratto prevedrebbe la sospensione dell’esecuzione della prestazione per il solo debitore, al quale però dovrebbe essere permesso di continuare ad utilizzare le linee di credito messe a disposizione dal soggetto finanziatore al fine di superare lo stato di emergenza e tornare ad adempiere successivamente. Tale scenario è certamente meno vantaggioso per il soggetto finanziatore. In caso di sopravvenuta insolvenza, il soggetto finanziatore si potrebbe trovare esposto a possibili azioni revocatorie per pregressa conoscenza dello stato di insolvenza del debitore e addirittura essere coinvolto nella causazione di fattispecie di natura penale come la bancarotta.
Su questi temi è pertanto a nostro avviso auspicabile un intervento del Legislatore, volto ad evitare che le conseguenze dirette della pandemia vengano a configurare ipso facto fattispecie quali lo stato di insolvenza presunta. Intervento che potrebbe avere un carattere analogo a quello di cui all’art. 7 del Decreto Liquidità che, in sostanza, esclude gli effetti della pandemia dalla valutazione di continuità aziendale ai fini della redazione del bilancio (sul tema si rimanda a “Disposizioni in materia di società ai sensi del Decreto Legge N. 23 dell’8 aprile 2020”).
È bene puntualizzare, però, che la decisione da parte delle banche di non concedere una moratoria o una rinegoziazione del contratto potrebbe avere l’effetto di spingere il debitore verso un conclamato stato di insolvenza, dannoso per lo stesso finanziatore. In questo senso, gli istituti finanziari, anche in assenza di un intervento del Legislatore, saranno chiamati a superare il timore di incorrere in responsabilità che sovente li spinge ad assumere posizioni statiche; superamento che sarebbe certamente facilitato da un intervento del legislatore che mitighi i rischi di conseguenze pregiudizievoli.[4]
A ciò si aggiunge che il soggetto finanziatore potrebbe comunque subire un nocumento nella fase di recupero delle somme, a causa del prevedibile massiccio numero di cause che verranno intentate ovvero derivante della durata delle procedure concorsuali, anche in considerazione del fatto che il Decreto Liquidità ha sancito l’improcedibilità di tutte le istanze di fallimento promosse tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020 (art. 10), con ogni conseguenza in termini di tempestività della dichiarazione di fallimento e di estromissione dell’imprenditore dalla gestione dell’attività. È inoltre plausibile che anche qualora vengano esperite azioni individuali volte al recupero del credito queste si rivelino fruttuose a procedura conclusa e quindi molto in là nel tempo rispetto ai tempi di esecuzione di un contratto in cui il differimento è concordato tra le parti. In questi casi anche l’escussione delle garanzie potrebbe non essere vantaggiosa (dipendendo questo dal tipo di garanzia prestata).
Le obbligazioni accessorie a quella principale: in particolare, i covenant finanziari
Ben diverso lo scenario in cui il soggetto finanziato adempia l’obbligazione di pagamento, secondo il piano concordato e alle condizioni economiche pattuite dalle parti, ma risulti inadempiente rispetto ad altri termini e condizioni accessori, come nel caso di mancato rispetto dei covenant finanziari. Circostanza cui, nella prassi, come si diceva, convivono rimedi sanzionatori a favore del creditore quale il diritto di recesso, la risoluzione del contratto o la decadenza dal beneficio del termine del debitore e, dunque, l’obbligo di immediata restituzione delle somme erogate unitamente agli interessi.
Senza volersi dilungare sul tema, è opportuno premettere che i covenant finanziari e la maggior parte delle obbligazioni accessorie hanno due funzioni: porre dei limiti alla autonomia di gestione aziendale al fine di conservare il patrimonio dell’impresa e fungere da campanello di allarme di squilibri economico/finanziari che possano successivamente portare all’incapacità del debitore di assolvere ai propri obblighi di pagamento.
Per quanto riguarda i covenant finanziari, in uno scenario eccezionale come l’emergenza COVID-19 è ragionevole sostenere che il loro mancato rispetto, in presenza di regolare adempimento dell’obbligazione principale, non possa e non debba gravare sul debitore al pari del mancato rispetto dell’obbligazione di pagamento. Invero, risulterebbe sproporzionato l’esercizio del diritto di recesso o la dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine (se non addirittura la risoluzione) da parte del finanziatore nel caso in cui il debitore non sia inadempiente agli obblighi di pagamento.
È pressoché certo, infatti, che in questa situazione di emergenza sarà elevatissimo il numero di debitori che non rispetteranno i covenant finanziari in essere per ragioni del tutto indipendenti dalle modalità di gestione dell’impresa.
Non è difficile immaginare, infatti, che i primi covenant finanziari ad essere violati saranno quelli legati alla misurazione dei flussi di cassa – in molti casi azzerati per effetto del lockdown – e che alle successive rilevazioni non potranno essere rispettati nemmeno i parametri che dipendono dalla redditività dell’impresa (es. il rapporto tra indebitamento finanziario netto ed EBITDA) e dalla sua consistenza patrimoniale (es. il rapporto tra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto).
Con riferimento al rispetto dei covenant finanziari, peraltro, potrebbero forse essere invocati i rimedi codicistici dell’impossibilità sopravvenuta o dell’eccessiva onerosità sopravvenuta qualora l’inadempimento di questo tipo di obbligazioni fosse esclusivamente riconducibile alla causa di forza maggiore integrata dall’epidemia e da quanto ne deriva in termini di restrizioni operative e crollo del mercato e le prestazioni richieste per sanarlo (es. versamenti in conto capitale; acquisti per aumentare il valore di magazzino ecc.) risultassero estremamente più onerose di quanto preventivabile in sede di stipula del contratto di finanziamento.
In considerazione di quanto precede, come nel caso in cui si profili l’impossibilità di onorare il rimborso è altrettanto opportuno che il debitore segnali in modo circostanziato ai creditori finanziari le ragioni sottese al mancato rispetto dei parametri finanziari e richieda la loro esplicita rinuncia ad avvalersi dei rimedi contrattuali per le violazioni già intervenute (waiver), nonché una ridefinizione dei parametri o una sospensione temporanea del loro rilevamento per un periodo da convenire con i creditori sulla base delle prospettive di recupero tanto del mercato quanto della singola impresa.
In altri termini, in tutti i casi in cui le disposizioni di legge sulla moratoria non siano applicabili e il debitore non acceda a strumenti quali l’accordo ex art. 182 septies quinto comma L.F., sarà dunque opportuno concordare il “congelamento” delle obbligazioni accessorie mediante negoziato tra debitore e creditore.
Va inoltre aggiunto che talvolta i contratti di finanziamento prevedono già rimedi contrattuali ad hoc per il mancato rispetto dei covenant finanziari (spesso di carattere sospensivo come quello che consente al debitore di “correggere” una situazione non conforme in un dato lasso di tempo e previa comunicazione all’altra parte; altre volte mediante rafforzamento patrimoniale del debitore – c.d. equity cure).
In tali fattispecie, si dovrà verificare se il rimedio sia applicabile in concreto o se, anche in relazione ad esso, l’attuale scenario non consenta di invocare quantomeno una eccessiva onerosità per disapplicare temporaneamente l’obbligo di azionarlo (si pensi, ad esempio, ad un meccanismo che richieda un versamento a fondo perduto a ristoro del patrimonio sociale effettuato per supplire ad una carenza meramente temporanea o all’obbligo di raggiungere un determinato valore dello stock quando la quantità di merce non sia variata, ma il valore si sia ridotto in modo consistente a causa di una caduta anomala dei prezzi dovuta al blocco del mercato).
Considerazioni diverse valgono per altre obbligazioni accessorie e in particolare per i molteplici obblighi di non fare codificati nelle prassi dei contratti di finanziamento (es. divieto di intraprendere operazioni straordinarie, divieto di concedere garanzie reali sui propri beni ecc.).
Salvo casi è eccezionali, è difficile ritenere che la violazione di tali obblighi di non fare possa essere ricondotta direttamente agli effetti dell’emergenza COVID-19 o alla necessità di porvi rimedio in modo urgente a tutela della continuità aziendale e del patrimonio dell’impresa. Di conseguenza, in linea di principio e a parte rarissimi casi (urgenza, improrogabilità) tali obblighi continueranno ad applicarsi in modo ordinario, senza mitigazioni a favore del debitore e il creditore potrà legittimamente azionare i rimedi sanzionatori collegati alla violazione delle obbligazioni accessorie qualora la violazione non sia conseguenza diretta degli effetti della pandemia (es. il debitore viola l’obbligo di non costituire patrimoni destinati ex art. 2447 bis c.c., così sottraendo dei beni alla garanzia generica a favore del creditore finanziario).
[1] Per PMI si intendono, ai sensi della definizione di matrice comunitaria, le imprese che: (i) occupano meno di 250 persone e (ii) il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.
[2] Analogo impasse si avrà nei casi in cui queste dichiarazioni debbano essere rilasciate al fine dell’avveramento di condizioni sospensive di accordi di ristrutturazione dei debiti, come da prassi.
[3] Diversamente, a fronte di proposte quali la riduzione del tasso di interesse, lo stralcio parziale o una radicale modifica del piano di ammortamento è difficile ritenere che i creditori siano obbligati a rinegoziare in forza del principio di buona fede e correttezza. In tali casi, i finanziatori saranno liberi di valutare le richieste e accordare o meno quanto richiesto dal debitore, potendo anche rifiutarsi di aprire un negoziato.
[4] Nel caso in cui non si proceda alla rinegoziazione, l’inadempimento del debitore potrebbe essere fatto valere dalla banca con i rimedi di legge richiamati dal contratto ferma restando l’applicazione, a tutela del debitore, di una norma eccezionale quale l’art. 91 del Decreto Cura Italia in virtù del quale il rispetto di tutte le misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 è sempre valutato “ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.