La cronaca economica ha riportato in queste settimane la notizia per cui Cassa Depositi e Prestiti, società per azioni controllata dal Ministero del Tesoro, stia incontrando difficoltà a comporre un nuovo consiglio di amministrazione a causa della necessità di rispettare la quota di genere. È dei giorni scorsi la notizia che Cassa Depositi e Prestiti ha alla fine nominato i nuovi organi sociali, modificando lo statuto nel rispetto delle quote di rappresentanza di genere[1].
Al di là delle polemiche politiche e delle semplificazioni giornalistiche, il caso resta tuttavia di interesse, per avere riportato all’attenzione l’ormai lungo percorso della disciplina italiana della rappresentanza di genere, che dal 2011 (con la legge 12 luglio 2011, n. 120, c.d. “Golfo-Mosca”) ha imposto, modificando il testo del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria (TUF), vincoli per gli organi amministrativi (nonché per gli organi di controllo) delle società quotate, che dopo la L. 160 del 2019 sono giunti a prevedere una quota minima del genere meno rappresentato pari ai 2/5 dei componenti.
Il principio della rappresentanza di genere come principio idoneo a garantire e promuovere la pluralità di posizioni e punti di vista in seno ai consigli di amministrazione ha progressivamente permeato l’ordinamento.
Innanzitutto i vincoli di genere per le società pubbliche nella composizione degli organi sociali, già previsti in linea generale nella legge Golfo-Mosca, sono stati specificati nel dettaglio con il D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251, che, in attuazione dell’articolo 3, comma 2, della legge 12 luglio 2011, n. 120 ha stabilito l’obbligo, negli organi sociali delle società controllate dagli enti pubblici, di garantire una quota di almeno un terzo dei componenti al genere meno rappresentato. Il principio, inoltre, è stato ribadito dall’art. 11 del Testo unico delle società partecipate pubbliche, d.lgs. 175 del 2016 [2].
La legge 5 novembre 2021, n. 162, infine, ha previsto all’art. 6 che le disposizioni di cui al comma 1-ter dell’articolo 147-ter del TUF, si applicano anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni non quotate in mercati regolamentati, delegando a un regolamento da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge 162/2021 di apportare al regolamento contenuto nel già citato D.P.R. 251/2012 le modifiche necessarie a dare attuazione all’allineamento con il TUF.
Per quanto caratterizzate dalla temporalità dei loro effetti (attualmente destinati ad avere efficacia solo per 6 mandati, pari a diciotto anni), le innovazioni legislative che hanno preso l’avvio con la legge Golfo-Mosca hanno segnato una tendenza evolutiva del nostro ordinamento, che è giunta sino alla regolamentazione di livello secondario (si veda ad esempio la Circolare di Vigilanza Banca d’Italia n. 285/2013 del 30 giugno 2021, Provvedimento IVASS n. 142 del 5 marzo 2024, che ha modificato il Regolamento IVASS n. 38 del 2018) e alla c.d. soft law, in primis il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana S.p.a..
D’altronde, un effetto dell’impatto prodotto dalle disposizioni normative in rassegna è confermato dalla circostanza insolita per cui sullo specifico tema è stata proprio l’Italia l0 stato membro che ha anticipato l’iniziativa normativa dell’Unione Europea, che aveva licenziato la direttiva ‘Women on board’ (Direttiva UE No. 2381/2022) solo nel 2022 e dopo una gestazione lunga dieci anni. Su questo aspetto, per approfondimenti, rinviamo ad un recente contributo dello Studio “Women on boards: un confronto tra la Direttiva UE 2022/2381 e la legge italiana sulla presenza del genere meno rappresentato nei consigli di amministrazione delle società quotate”.
La vicenda di Cassa Depositi e Prestiti, dunque, per quanto risoltasi positivamente, ha racchiuso in sé diversi dei temi (sia positivi, sia critici) emersi in questi oltre dieci anni di applicazione della normativa italiana sulla rappresentanza di genere e, in particolare, quello relativo al carattere temporaneo della norma (temporaneità quale strumento legislativo previsto dalla legge Golfo-Mosca per temperare il carattere fortemente precettivo della norma, alla luce del valore costituzionale delle finalità perseguite)[3].
In particolare, Cassa Depositi e Prestiti aveva già recepito volontariamente, a livello statutario, l’impegno a garantire la quota dei due quinti del genere meno rappresentato nel suo statuto, anticipando il Regolamento attuativo della L. 162 del 2021, che non è ad oggi ancora stato approvato, per quanto sia ampiamento decorso il termine di due mesi previsto dall’art. 6 della medesima legge.
Tale vincolo, nelle scorse settimane, ha condotto ad un confronto politico nella determinazione delle nuove nomine tra esponenti del genere sotto-rappresentato che, apprendiamo dagli organi di stampa, avrebbe determinato uno stallo decisionale nelle assemblee precedenti a quella del 15 luglio scorso.
Riferiscono gli organi di stampa che gli azionisti di Cassa Depositi e Prestiti, tra le soluzioni ipotizzate, avrebbero anche considerato di modificare lo statuto, in modo da prevedere l’abbassamento della quota “di genere” da due quinti a un terzo, applicando la quota più bassa, secondo l’ultimo riferimento normativo applicabile nelle more dell’approvazione del regolamento attuativo.
L’assemblea del 15 luglio 2024 – prima straordinaria per ratificare l’allargamento dell’organo di governance, e poi ordinaria per procedere alle nomine – ha, infine, consentito di allargare a undici (da nove membri), consentendo così l’accordo fra i partiti di maggioranza nel rispetto delle quote “di genere”, che salgono da quattro a cinque componenti di CdA per rispettare la quota del 40%.
Al di là della soluzione adottata dalla partecipata pubblica, e di qualsiasi valutazione sulle soluzioni vagliate, tra cui quella di avviare una modifica per legge dello statuto di CDP nelle more dell’applicazione di un regolamento attuativo della precedente L. 162 del 2021, resta da vedere quali riflessioni possano essere tratte per gli operatori del diritto e dell’impresa da questa vicenda delle cronache economiche.
In primo luogo, emerge la grande diffusione a livello culturale del valore aggiunto garantito dal pluralismo di genere nei board (testimoniata dalla grande attenzione su questa e simili vicende, quale ad esempio quella relativa ad Atlantia – Mundys[4]); per contro, la vicenda di Cassa Depositi e Prestiti testimonia la difficoltà – sorprendentemente, soprattutto nell’alveo pubblico – a valorizzare appieno la parità di genere, che è a tutti gli effetti uno dei cardini fondamentali, anche nel nostro ordinamento, della c.d. responsabilità sociale d’impresa, oggi più che mai centrale nel diritto societario a livello nazionale ed eurounitario.
La diffusione del valore del pluralismo di genere nei board delle società sembra sempre più diffusa nelle norme di primo e di secondo livello, soprattutto per le società di maggiori dimensioni; per contro, il tempismo delle società a provare a liberarsi dei vincoli della Golfo-Mosca non appena cessato l’espresso obbligo di adottarli, sembrerebbe far propendere per prorogare o estendere la disciplina a livello di hard law, e soprattutto di darvi piena attuazione, approvando l’atteso regolamento attuativo della L. 162 del 2021.
Ci pare inoltre che la vicenda di cronaca economica possa anche sottolineare la necessità di un passo verso la compiuta maturazione della cultura della parità di genere in una direzione diversa dal semplice obbligo legale, in particolar modo attraverso la sollecitazione di università, associazioni professionali e di categoria, ad esortare un numero sempre maggiore di candidature di esponenti del genere meno rappresentato, o anche codificando prassi (di comunicazione, sollecitazione, invito a candidarsi) quando si determini una situazione di stallo in caso insufficienza di candidature.
Sotto questo profilo, è auspicabile un sempre maggiore impegno dei professionisti legali nella relazione con i propri clienti per promuovere la parità di genere negli organi sociali, dimostrandone i positivi effetti di medio periodo, anche laddove non soggetti ad obblighi legislativi.
L’adeguata informazione dai professionisti alle imprese sull’evoluzione del sistema normativo può essere un fattore determinante del radicamento di una cultura della parità di genere nelle società di tutte le dimensioni e settori.